Codazzi, grande matematico e insieme pazzo morale ed alcoolista, era un vero melomane: stava intere notti al piano; più volte mi diceva che era sulla via di trovare un metodo per comporre musica col mezzo della matematica; in fatto, però, soffriva e morì di delirium tremens.
Meyerbeer, a sua volta, era un buon matematico.
E non citiamo Haller, Swedemborg, Cardano (Vedi sopra, vol. I), che percorsero, scoprendovi del nuovo, i campi più disparati dalla matematica e dalla chimica alla teologia e letteratura; perchè ci si potrebbe obbiettare: che era facile allora abbracciare le regioni più lontane dello scibile e anche trovarvi del nuovo, essendone la materia ancora così circoscritta.
Se non che: se ai nostri tempi questo pare inverisimile, gli è perchè si riflette anche nella concezione del genio quell'eccessiva divisione del lavoro che si è infiltrata nella vita; per cui non riconosciamo abbastanza i meriti dei genî multiformi e non ne accettiamo che alcune delle doti unilaterali più appariscenti. Così nessuno ai suoi tempi, anzi nemmeno ora, ha riconosciuto abbastanza il merito di Goëthe nella filosofia naturale.
Una volta ammesso in Goëthe il grande poeta, ripugnamo a crederlo grande naturalista e grande ottico. Così nessuno di noi riconosce o ricorda le profonde attitudini politiche e scientifiche di Dante, nè le letterarie e tattico-militari di Macchiavelli, nè le musicali di Rousseau; e nessuno sa vedere in Leonardo da Vinci il geologo, l'idrologo, il balistico, l'anatomico, o in Cardano il letterato, il filosofo e il teologo(3). Pure in nessun di questi casi la grandezza del genio nei rami più disparati era giustificabile dalle condizioni dei tempi: nè in questi casi vale più la scusa della divisione del lavoro, nè l'obbiezione che lo scibile si riduceva a così poco da potersi facilmente tutto abbracciare: perchè quei genî non solo avevano percorsa tutta la scienza contemporanea, ma prevennero quella dei nostri tempi, e alcuni, anzi, furonci coevi, come Goëthe, Humboldt, Hæckel, Leopardi, D'Azeglio e Arago.
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