(10 ottobre 1900)
Intorno al nuovo Tempio
(Intervista col prof. Della Monica)
Spento il clamore festaiolo per l'apertura del nuovo tempio alla Madonna delle Grazie, qui in Teramo, abbiamo voluto udire il parere del nostro colto e valente artista Gennaro Della Monica intorno alla ricostruzione della chiesa e al suo valore artistico. E crediamo di far cosa grata ai nostri lettori riportando ciò che abbiamo appreso da lui.
Al principio del sindacato del cav. Berardo Costantini il sig. Francesco Savini si decise ad eseguire il voto di quel Santori che aveva lasciato migliaia di scudi per abbellire la chiesa della Madonna delle Grazie. Il Savini, a scanso d'impicci, convenne coll'avv. De Albentiis di affidare il tutto al cav. Berardo Costantini per curare il da farsi.
In quel tempo il Costantini era molto amico del prof. Della Monica, e stimandolo artista atto alla bisogna lo spingeva a fare uno schizzo del nuovo tempio volendogliene affidare la direzione, lasciandogli facoltà di trovare un ingegnere di soddisfazione propria. Il Della Monica non rispose affermativamente, ma chiese del tempo volendo, prima di tutto, vedere se era veramente il caso di fare un tempio nuovo, o se meglio non sarebbe stato studiare il modo di ripristinare quello esistente. Dopo accurate e scrupolose indagini egli si convinse che quel tempio che si voleva gittare a terra per surrogarlo con opera novella, era un insigne monumento di arte italo-bizantina, e che malgrado i cangiamenti subiti, e le indegne superfetazioni, era sempre tale da meritare che fosse conservato.
Persuaso di ciò, scrisse una lunga lettera, che oggi si trova nell'archivio comunale, nella quale dimostrò come quel vetusto edificio dovesse essere rispettato non solo, ma ripristinato da sapiente architetto mettendo da banda ogni idea di cosa nuova. Il Della Monica non poté precisare in quella lettera la vera data della edificazione del tempio, ma assicurò che era opera del mille o del mille o cento.
Questa lettera lunghissima fu letta una sera in casa dell'attuale Vescovo alla presenza del sig. Savini e del Costantini, i quali ne furono persuasi e convinti. Il Vescovo complimentò molto il Della Monica per le idee espresse, e lo scempio che poi è stato commesso non sarebbe avvenuto se all'istesso Vescovo non fosse salito in capo di voler interpellare anche il Mariani (che diceva di essere suo amico) ma solamente per un consiglio.
Passò del tempo né più il Della Monica fu interpellato: si seppe poi, che il cav. Costantini aveva rinunciato l'incarico, e che venuto il Mariani a Teramo, nel giorno stesso aveva avuta commissione formale dal Savini di fare un progetto per ricostruire a nuovo quella povera chiesa, impegnandosi il Savini non solo colle parole ma in iscritto, dando al Mariani per garanzia lire diecimila.
Non molto dopo il Mariani inviò un progetto tanto per la parte architettonica che per le pitture, poi fatte da lui, che dovevano assorbire per intero la somma lasciata dal Santoro ed il resto. Questo progetto fu inviato al Della Monica dal Savini affinché ne avesse dato il suo parere. Il Della Monica, pittore anche lui, fece qualche debole osservazione, ma per deferenza al vecchio pittore romano se ne lavò le mani.
Il Mariani sostenne l'abbattimento volendo fare una chiesa adatta alle sue pitture ed al suo stile, e dichiarò che dessa si dovesse abbattere, perché non era altro... che un mostruoso cinquecento!
Nel demolire in prosieguo le stupende colonne a pilastri, che in Italia trovavano riscontro solamente nel S. Ambrogio di Milano, sull'abaco di uno dei capitelli fu trovata la scritta che conosciamo: cioè il tempio era stato fondato nel 1153!
Il Della Monica non aveva sbagliato, e il prezioso monumento sarebbe salvo so lo avessero ascoltato...
Quanto alla nuova chiesa, eccitato a dire la sua opinione che voleva tacere, il prof. Della Monica, si è espresso laconicamente:
Come architettura, specialmente la facciata è cosa di nessuna importanza; il di dentro in qualche parte è indovinato ma il tutto insieme non desta interesse. In luogo di un tempio monumentale sacro alla storia ed all'arte, abbiamo una Minerva alquanto storpiata, e le pitture del Mariani quantunque corrette non hanno significato, poiché, se questo artista ha fatto delle pitture a Roma ammirevoli ai suoi tempi quando l'arte si basava sul convenzionalismo, oggi le stesse rappresentano una lettera morta.
E il prof. Della Monica ha così continuato: Io avrei voluto, e con me altri intenditori di arte, che il tempio della Madonna delle Grazie fosse stato ripristinato, arricchito di marmi e di cose belle fatte con sapienza, e ciò poteva ottenersi colla ingente somma che si è spesa.
Dissi già, che di pittura se ne poteva parlare in prosieguo; ma pur volendo le pitture, e senza con ciò recare offesa al merito del Mariani, perché non servirsi dei nostri Abruzzesi?
Se la chiesa fosse stata dipinta dal Michetti, dal Patini, dal Laccetti, (e, aggiungiamo noi, dallo stesso Della Monica), non avremmo noi avuto un monumento d'arte importantissimo da attirare forestieri?
Teramo avrebbe avuto il primo monumento artistico degli Abruzzi, e chi può dire, quali opere importanti avrebbero eseguite questi artefici mossi dall'emulazione e dal desiderio d'illustrare le nostre contrade?
Insomma si è sbagliato; e in luogo di opera bella si è fatta opera vandalica ed irrimediabile.
E' il caso di ripetere — ha conchiuso il prof. Della Monica — il noto proverbio : nemo propheta in patria!...
(17 ottobre 1900)
Intorno al nuovo tempio
Gent.mo Direttore,
Ho letto con vero piacere la intervista da Lei avuta col prof. Della Monica intorno al nuovo tempio della Madonna delle Grazie, e pubblicata nel n. 81 del suo Corriere, e mi associo ben volentieri alle idee in essa contenute, idee, che ebbi la ventura, senza sapere affatto della esistenza della lettera dell'amico Gennaro diretta al Costantini e letta nel vescovato, di sostenere nella Commissione Edile, quando fu portato al suo esame il progetto del nuovo tempio. Non può credere, egregio sig. Direttore, quanto io allora mi accalorai, per sostenere il rispetto che si doveva al Tempio esistente, ed il cav. B. Costantini, che pur avrebbe potuto far tanto bene alla città, se una megalomania male intesa e campata in aria non l'avesse sopraffatto, concludendo molto poco pel vero bene del pubblico, si convinse della mia tesi, e volle che la sostenessi nella detta Commissione Edile. Ma ben conchiude il Della Monica col noto provverbio: Nemo propheta in patria, ed io precisamente sono uno di quelli, che nel proprio paese nativo non ebbi mai fortuna in professione, per quanto in molte questioni di ordine pubblico il tempo mi abbia dato sempre ragione. Eppure nel caso del tempio della Madonna delle Grazie erano semplici, e credo molto convincenti, le ragioni per la conservazione dell'esistente. Il tempio indiscutibilmente era antichissimo, e per tale antichità il suo esterno semplice ed elegante in relazione a quanto gli era adiacente, ed il suo interno ampio, a colonne massiccie, ed a volte sviluppatissime, che conferivano alla chiesa alcunché di mistico, di idealo, e direi quasi di extra-terreno, si imponevano al rispetto ed alla conservazione. L'essere poi la chiesa attaccata all'ex-convento dei francescani, il non poterla isolare per mancanza di spazio, il non potere colla ricostruzione ad una sola navata con cappelloni laterali (strana idea) avere nemmeno la terza parte dell'area libera della chiesa primitiva, il che è uno dei maggiori difetti del nuovo tempio, per chi ricorda quale agglomerazione di gente si verifica in essa non solo annualmente nella festa della Madonna delle Grazie, ma anche in molte circostanze speciali, l'avere la chiesa primitiva una posizione molto strana e veramente brutta rispetto a Teramo, posizione che quasi scompariva quando vi era la vecchia chiesa, sia perché essa faceva un tutto insieme col fabbricato laterale, sia perché la mente l'ammetteva facilmente per la sua antichità, mentre ora si rende appariscentissima col nuovo, e conferisce al tempio una prospettiva orribile a chi lo guarda da Porta Reale, ed infine la devozione immensa e gl'infiniti ricordi che legavano i teramani a quel luogo sacro come era, dovevano impedire assolutamente l'abbattimento di ciò, che per Teramo era divenuto intangibile.
Dove è ora più quella chiesa, che incuteva raccoglimento e preghiera anche all'ateo, che per strano capriccio vi entrasse?
Dove è più quella chiesa, che parlava alla mente ed al cuore, e destava tanti ricordi e commozione non solo ai vecchi, ma anche a noi?
Dove è più quella chiesa, che colla sola sua architettura si imponeva alla riflessione, ed idealizzava quasi il concetto sublime della religione?
Che cosa ora rappresenta quel fungo attaccato ad un casermone dalle speronate da fortezza?
Potrei molto seguitare cogl'interrogativi, ma sia per lo spazio, che non voglio rubare al giornale, e sia per non annoiare la grande maggioranza, che non divide le idee esposte, me ne astengo, aggiungendo solamente, che il fabbricato qual'è oggi regge poco ad una sana critica d'arte. Non voglio, né posso fare un esame minuto dell'opera rispetto alla costruzione ed all'architettura, ma semplicemente osservo, che stimo molto sproporzionato il titolo di tempio per una chiesa di molte modeste proporzioni, per un capoluogo di Provincia, che non trovo relazione tra la facciata esterna misera per dimensioni, ornamentazioni, e materiali adoperati coll'interno ricco di pitture e dorature, che non so capacitarmi né della necessità, né della fattura di quegli speroni nella facciata laterale di destra molto in antitesi collo scopo del fabbricato e collo stile architettonico adoperato, che l'attacco di quel campanile barocco ad uno spigolo posteriore della chiesa dà l'idea di un gigante, che stia dando di gomito alla chiesa stessa per farla andare via da quel posto, che, a prescindere dalla forma, non ho compreso il perché dell'intonaco e coloritura all'ottagono della cupola ed al cupolino da far pensare più ad una piccionaia che ad una chiesa, che non credo che lo stile del Rinascimento prescelto per l'architettura della chiesa potesse meglio d'ogni altro dare origine ad un edifizio elegante e maestoso ad un tempo, quando nell'esterno e nell'interno il contrasto fra i pilastri, colonne e colonnine è molto stridente, che infine la parte terminale nel didietro del baldacchino ottagonale, ove siede la statua miracolosa della Madonna delle Grazie, è abbastanza antiestetico. Oh! quanto è vero il concetto espresso dal Della Monica, che il tempio della Madonna delle Grazie dovesse semplicemente ripristinarsi, attecchendolo di marmi e di cose belle fatte con sapienza! Oh! quanto è vero, che se di pitture doveva parlarsi, era obbligo servirsi di pittori abruzzesi, come, io aggiungo, era obbligo servirsi di ingegneri ed architetti abruzzesi pel progetto del fabbricato! Oh! quanto è vero, che in luogo di opera bella, si è fatta opera vandalica ed irrimediabile! Aggiungo poi qui una mia opinione molto personale, quella cioè che non ho saputo, né saprò mai digerire il fatto, che la chiesa si debba mutare in pinacoteca, dove più che a pregare, si vada a curiosare, a guardare, a mirare dei quadri, degli arazzi, delle dorature, delle ricchezze in marmi ed altre pietre rare, e dove non alla carità evangelica, alla modestia cristiana, al raccoglimento, al memento homo si possa pensare, ma alle frivolezze mondane, al desiderio dei beni terreni, ed alla vita spensierata, elegante ed epicurea. Si vada in Ascoli, e si visiti la chiesa di S. Emidio e la chiesa di S. Francesco, due veri monumenti d'arte, la prima però da poco tempo arricchita di pitture e dorature, come la chiesa di Teramo, e la seconda rimasta nelle pareti interne a semplice intonaco, di cui l'imbiancatura forse ricoprirà qualche pittura del XIV secolo, e mi si dica quale delle due chiese faccia più impressione al sentimento religioso, quale delle due chiese imponga maggiore raccoglimento, quale delle due chiese parli più alla mente ed al cuore. Per me è indiscutibilmente la seconda. Potenza dell'arte!!
In quanto io ho detto, non entra per nulla la indiscutibile competenza, e la immensa valentia del Mariani, che al certo non ha bisogno della chiesa di Teramo per la sua celebrità, e dinanzi a cui mi inchino quale ammiratore, né il cav. F. Savini, che si rivolse più volte alla Commissione Edile per lumi e consigli, ma vi entra invece sempre quel complesso di circostanze dovuto ad uomini e cose, che in Teramo sventuratamente si forma sempre ogni qualvolta ai deve trattare un grande fatto di pubblico interesse. Ma quale è la ragione di questo fatto tanto anormale? In prima linea gli odi personali, le invidie, e le maldicenze, in seconda linea la poca o nessuna carità di patria, carità, che dovrebbe tenere legati sempre i buoni cittadini pel conseguimento del bene vero del paese.
E dopo ciò vale.
Teramo 11 ottobre 1900.
Ernesto Narcisi.
(24 ottobre 1900)
Ancora del nuovo tempio
«Il truffolo di Marozzi»
Nel dialetto teramano, la parola truffolo equivale a fiasco in terracotta.
Nei tempi passati i signori Marozzi di Teramo, quotidianamente erano tormentati da molti poverelli, che abusando di loro eccessiva bontà, si portavano in loro casa a chiedere qualche elemosina. Fra questi eravi un tale che con un trutolo vi andava incessantemente più che ogni altro a chiedere, ora olio, ora aceto, ora vino. Un bel mattino, un antenato, un tal donn'Angelo, sia che gli fosse saltata la mosca al naso, o che da quell'uomo fosse troppo spesso seccato, diede un colpo al trufiolo, che ruzzolò giù per le scale; e siccome ruzzolando faceva un suono, come tiritrup ... tiritrop, irato com'era, Donn'Angelo si volse al questuante indiscreto: «Odi cosa dice il tuo truffolo ? il troppo è troppo».
Da quell'epoca, tutte le volte che qualcuno ne dice delle grosse senza stancarsi gli si risponde: «Il truffolo di Marozzi...»
Non so come sia avvenuto che quella bestia del Sacconi il quale ha preso il posto eminente fra gli architetti d'Europa, porti alle stelle l'architettura del tempio di Maria SS. delle Grazie, opera del comm. Mariani, mentre essa vien gittata alle stalle da qualche celebratissimo architetto teramano. Che si direbbe inoltre se lo stesso architetto Azzurri, di fama europea, ne fosse entusiasta? Secondo le nostre celebrità artistiche, l'antico tempio che chiamavano cantina, appena atterrato, lo decantano ora quale monumento d'arte antica, senza riflettere che esso fu in varie epoche riattato con dei ruderi di vecchie chiese, e le colonne, di nessuno stile o ordine, vi furon poste, per non farlo del tutto crollare. Ritengo vero che nell'atterrarlo vi si poté trovare in qualche posto qualche data del 1100, ma questa poteva non essere del tempio o se poteva appartenere ad essa lo potea nel suo primitivo stato, giacché com'era nell'ultimo tempo, non rivelava affatto la costruzione dell'epoca che gli vogliono attribuire, e di cui abbiamo varii esemplari nel nostro Abruzzo. Il Bindi stesso, che dotto può dirsi in questa materia, a quanto posso ricordare, non ne fa cenno alcuno nella sua grandiosa opera.
Opino non esser cosa ben fatta il voler conservare tutto ciò che è antico. Infatti dell'antico abbiamo : l'ottimo, il buono, il mediocre ed il pessimo.
Se oggi il cav. Francesco Savini ci fa trovare quell'unico tempio che Teramo può esser superba di avere, egli merita elogi sotto ogni rapporto, anche avuto riguardo al lascito che ebbe il padre suo cav. Domenico dal Santori, che non l'obbligava a spendere designata moneta, ma qualunque accomodo in esso tempio poteva farci, e tenersi il resto per suo uso e consumo, cosa che molto facilmente io credo avrebbe fatto qualunque altro. Al contrario, sia il padre che il figlio Savini, seppero amministrare così bene il lascito, da triplicarlo e quadruplicarlo, e più il cav. Francesco vi ha profuso del suo circa venticinque mila lire; ed è per questo che a momenti lo crucifiggono come il cattivo ladrone. Cose che avvengono soltanto a Teramo!
Per piacere ai critici il tempio doveva essere senza pitture; addio dunque la pittura sacra! e se doveva esserlo bisognava ricorrere solamente a pittori abruzzesi. Quali? Un Teofilo Patini che a giusta ragione chiamo il migliore artista abruzzese; e dopo lui un Laccetti e non altri, giacché il Michetti non lo credo pittore di cose sacre, e molto meno di affreschi, benché di un talento non comune. Si è visto sempre fare da questi vociatori, due pesi e due misure. Il monumento a Vittorio Emanuele non lo avemmo perché il sindaco di quell'epoca si fece portare pel naso da chi pretendeva che per avere il monumento si dovesse bandire un concorso, benché a chi si dava l'incarico fosse un illustre scultore abruzzese; ora a quello stesso è venuta l'abbruzzomania! Ma via, finiamola con certe ipocrisie!
Cesare Mariani non ha bisogno dei miei elogi, né venne in Teramo per farsi un nome. Il suo nome risplende e da molto tempo nella storia dell'Arte; informino la chiesa di S. Lorenzo fuori le mura (Roma) i Martiri del Giappone nella nuova Chiesa dei Cappuccini di Roma, la Cattedrale di Ascoli Piceno, oltre alle molte sue pitture che adornano i più celebrati Musei d' Italia, primo fra i quali quello mondiale del Vaticano.
Giù il cappello dunque, se non vogliamo far ridere su di noi: studiamo sulle sue opere, sia come pittore che come architetto, se ancora siamo in tempo!
Gianfrancesco Nardi
(Terza Parte)
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