(Terza Parte)

I complici di Acciarito
Corte d'assise di Teramo

       Le lettere di Acciarito.

       Udienza del 28 marzo. — Folla enorme non altrimenti che l'udienza precedente. Nel vedere tutte quelle signore che ingombrano la sala e la tribuna, vien voglia di dire: che bel teatro!
       Tra le signore, ce n'è una graziosa, ricca di brillanti e perle. E la signora dell'avv. Brenna.
       Acciarito è di nuovo introdotto, accompagnato da carabinieri.
       Si dà lettura delle sue lettere nelle quali parla degli accusati.
       Acciarito insiste nell'affermare che tutto ciò gli fu imposto dall'Angelelli, mentre gli facevano soffrire le più amare torture di cuore. Racconta il trattamento che gli fecero da prima: segreta orribile, acqua coi vermi, pane terroso. La guardia carceraria era un Nerone; egli diceva: il cimitero è là, non muori mai? Gli dicevano anche: se viene la rivoluzione ti avveleniamo.
       Si leggono i violenti confronti sostenuti da Acciarito, davanti ai magistrati, con gli accusati. Egli dice a un certo punto:
       Ma io voglio andarmene, per me è una tortura. Tutto quello che dissi allora è falso.
       P. M. : Perché allora mentiste?
       Acciarito: Ognuno nei miei panni avrebbe fatto lo stesso, con le sofferenze morali che pativo a Santo Stefano. Vorrei essere bruciato vivo piuttosto che tornare fra quei cannibali.


       Il direttore Angelelli.

       Si conviene che Acciarito venga allontanato dall'aula mentre deporrà l'Angelelli.
       Questi è un uomo tarchiato, coi baffi neri, occhi penetranti. Dice di essere in permesso regolare dal novembre.
       Dichiara ch'era uso di trattare i detenuti con benevolenza ed umanità, e raccogliere le loro confidenze.
       Trovò in Acciarito un principio di pentimento; egli lo confortava; Acciarito mostrò una disposizione a parlare. Per mezzo dell'altro ergastolano Petitto, si ebbero le prime rivelazioni, si accennarono i fatti senza nominare i compagni. Furono facilitate le conversazioni fra Acciarito e Petitto, e quindi ne vennero le lettere di Petitto ove si facevano i nomi.
       Una sera — continua l'Angelelli — Acciarito venendo da me mi disse, con parole di disprezzo verso i suoi compagni, che lo avevano abbandonato dopo di averlo tradito. Allora io lo persuasi a fare istanza al Re. Egli me la portò ma non era tale che potesse andare al trono e io la corressi.
       A domanda della difesa: Si, eravamo soli, io e Acciarito, nel mio ufficio.
       In un punto dell'istanza dove erano due iniziali furono da Acciarito sostituiti i nomi di Ciccarelli e Diotallevi.
       Parla poi dell'altra istanza diretta al guardasigilli, che anche Acciarito scrisse accanto a Petitto. Io, aggiunge Angelelli, credetti di riferire tutto alla direzione generale.
       Si legge la nota lettera falsa con la notizia della nascita di un figlio alla Venarubba. La lettera desta molta emozione.
       A domanda: La minuta della lettera fu scritta da Petitto, e credo che da me vi si facesse qualche correzione (!).
       Avv. Albano: Si commosse l'Angelelli nel leggere la falsa lettera ad Acciarito?
       Teste: nega.
       Avv. Positano. Lo confessò alle Assise di Roma.
       Pres. : Non si riscaldi!
       Avv. Positano: Ma io ho un cuore migliore di quello del cav. Angelelli.
       Angelelli dice che egli non è pentito di quanto fece, in un'epoca di trepidazione per la Reggia, mettendo in pericolo la propria vita.
       Un urlo prima degli avvocati, poi del pubblico accoglie queste parole. Il presidente manda via il pubblico.
       Continuano le contestazioni.
       Avv. Albano: Perché l'Angelelli tanto scrupoloso non tenne presso di sé le minute delle istanze?
       Avv. Zerbinati: A tutti i 380 detenuti della casa di pena il cav. Angelelli rivolgeva le stesse cure che ad Acciarito?
       Teste: A tutti.
       Avv. Zerbinati: E dava anche a tutti del marsala? Ne soffriva certo il bilancio dello stabilimento! (ilarità).
       Avv. Di Benedetto (giunto oggi da Roma): Contesta all'Angelelli che mentre voleva fare da affettuoso padre all'Acciarito, spingeva invece Petitto ad accendere semprepiù malignamente l'animo e il cervello di Acciarito.
       Teste: Io non rimproverai Petitto non potendo rompere le relazioni che erano già innanzi.
       Pres. Già, era un mezzo di polizia...
       Avv. Di Benedetto: Un magistrato come Lei protesterà sempre contro simili mezzi per onor della toga che veste.


       Il confronto con Acciarito.

       Acciarito è ricondotto nella sala pel confronto con Angelelli.
       Angelelli seduto tra il presidente e Acciarito e fissa gli occhi su costui.
       Pres. domanda ad Acciarito: Mantenete che le minute siano state dettate dal direttore?
       Acciarito: Lui me le dettava. Non le correggeva, metteva tutta la sostanza.
       Angelelli nega.
       Acciarito: Sono tutte cose tue!
       Poiché il direttore parla di diverse circostanze tendenti a smentire Acciarito, questi lo interrompe;
       — Ricordi tu, Angelelli, l'infamia che mi dicesti quando mi costringesti a scrivere l'istanza?
       E siccome pare che Angelelli voglia continuar lui, la difesa protesta. Ne nasce un po' di baccano.
       Gli avvocati ad Acciarito: Di, di, quale infamia.
       Avv. Albano: Forse la lettera falsa e la falsa notizia del figlio?
       Acciarito, contorcendosi: Si, sì. Mi dilaniavano il cuore! e tu, per sostenere le mie forze, mi desti del marsala!
       Avv. Rodomonte. Non andrai più fra le sue grinfie.
       In un certo momento, Acciarito dà del vigliacco ad Angelelli, ed il Proc. gen. esclama: sei tu un vigliacco!
       Gran chiasso nel banco della difesa. Il Proc. gen. dichiara che non ritira nulla.
       Avv. Di Benedetto: chiede che Acciarito possa parlare senza incontrare gli occhi di Angelelli.
       Acciarito: Io non voglio parlare con costui che non è uomo, è fango. Continua ripetendo in buona parte le sofferenze di cui ha parlato ieri. Angelelli lo interrompe, Acciarito gli grida: Eh, la tua condotta ognun la conosce.
       Pres. E la vostra pure.
       Acciarito: Io stavo rassegnato nella mia cella a scontavo la pena che avevo meritata, sono venuti là a impormi queste torture!
       Quindi narra altri fatti. Un giorno gli fecero vedere da una piccola finestra nel cortile una donna con due bambini in braccio che piangevano. Quella vista gli spezzò il cuore, pensando al suo bambino (impressione).
       Angelelli nega.
       Acciarito: Qualche volta mi si diceva: Come, 378, non diventi pazzo? No — egli grida — la natura mi ha salvato perché io potessi venire qui a smascherare le vostre infamie, o carnefici!
       Gli accusati scoppiano in singhiozzi.
       Acciarito: Il direttore, nel comunicarmi la lettera falsa mi disse: Vedi? il tuo bambino è malato, la tua sposa è nella disperazione, sei un malfattore se non li salvi.
       Scoppia a piangere e non può continuare.
       Avv. Rodomonte: Finiamola, basta che i giurati sappiano che noi abbiamo indotto Angelelli a discarico, mentre il proc. gen. l'aveva tolto dalla sua lista. (impressione)
       Il confronto è finito. Siccome Acciarito come teste, deve rimaner nella sala, il Presidente dispone che circondato dai carabinieri prenda posto nello spazio che è stato fatto sgombrare dal pubblico.
       E' chiamato il padre di Acciarito, Camillo, portiere. La difesa non vorrebbe che fosse inteso e brillantemente richiede ciò l'avv. Zerbinati.
       Acciarito, dal fondo della sala, salta su un banco trattenuto dai carabinieri e grida: I miei genitori non sanno nulla, vigliacchi!
       E sviene per l'emozione.
       La Corte respinge l'incidente. Ma è l'ora tarda e si toglie l'udienza.

       Udienza 29 marzo — Sono intesi il padre e la madre di Acciarito su circostanze poco rilevanti. La madre nell'andarsene piange e dice: povero figlio, chi sa cosa gli faranno ora?
       Acciarito ha fatto sapere che non verrebbe neppure a pezzi perché ha saputo che la sua amante è incinta.
       Venarubba Pasqua, l'amante di Acciarito. E' brutta ma ha belli occhi nerissimi. E lungamente trattenuta a deporre su circostanze note e per smentire le lettere e cartoline false, scritte in nome di lei. Narra che il giorno di pasqua, essendosi recata con Acciarito fuori porta S. Giovanni, ad un tratto lui le domandò: Quando si faranno le corse? tanto una volta ci debbo andare.
       Cav. Doria, ispettore delle carceri. Avendo fatta un'ispezione nelle carceri di S. Stefano parlò con Acciarito e s'accorse che questi era proclive a svelare se avesse avuto complici; ma Acciarito accennò ad un gruppo fotografico di anarchici e socialisti, in mezzo ai quali gli odierni accusati non v'erano. E' assediato di domande intorno all'Angelelli, ma il cav. Doria si mantiene in riserbo.
       Lo stesso avviene anche al comm. Canevelli, direttore generale delle carceri. Ammette che l'Angelelli è stato posto a disposizione del Ministero, per un'inchiesta contro due guardie dello stabilimento da lui diretto, che avrebbero seviziato un detenuto. Questo provvedimento però non ha alcun carattere di punizione. L'Angelelli gli riferì delle rivelazioni di Acciarito ma egli lo consigliò a comunicarle alla Giustizia.
       Barili Ettore, è l'altro delegato di P. S. che fu incaricato di fare indagini relative al processo. Gli risultò che, tranne Collabona, gli altri accusati appartenevano a gruppi anarchici.
       Troise Alessandro è il segretario nella direzione del carcere di S. Stefano. Dice che le istanze di grazia furono scritte di pugno dell'Acciarito. Confessa di essersi egli stesso commosso alla lettura della famosa lettera falsa. L'avv. Ranzi gli fa una quantità di contestazioni efficaci.
       E scoppia un incidente tra l'avv. Z. Tanzi e il proc. gen. Paletti, a proposito di una delle solite lettere apocrife, che il teste Troise prima nega e poi ammette di averla scritta lui.
       Avv. Positano. È così che il Troise serviva la Patria.
       Teste. Presidente, mi faccia rispettare come testimone.
       Avv. Tanzi Z. Insegni di Proc. Gen. a rispettare i testi. Ieri diede del vigliacco al testimone Acciarito.
       Proc. Gen. Con Lei non discuto. Si vergogni il più giovane degli avvocati d'insultare un vecchio.
       Ne segue un baccano indiavolato: tutti gli avvocati sono in piedi e protestano gridando contro l'insulto ad un collega di difesa. Si domanda al Presidente che faccia ritirare la parola. L'avv. Rocco minaccia di abbandonare il banco della difesa. Il Presidente sospende la seduta e dopo poco rientra dichiarando esaurito l'incidente per reciproche spiegazioni. A domani.


       Andrea Petitto

       Udienza 30 marzo — Prima che entri il Petitto, sono intesi il prof. Grossi dell'Università di Genova e la sua signora intorno a questa circostanza. Un giorno la teste Ferzi, la stiratrice, disse alla signora che Pasqua Venarubba l'aveva pregata di scrivere una lettera in suo nome ad Acciarito perché svelasse i complici, e la Ferzi pregò di scriverla la signora, che si rifiutò. L'avv. Di Benedetto constata che si trattava di un tranello della Polizia. Ed ecco Petitto.
       Andrea Petitto ha il corpo logoro, la faccia smunta: fa compassione. Ha 50 anni ed è condannato all'ergastolo per aver tentato da soldato di uccidere un caporale; un sergente gli tirò contro asportandogli due dita. Porta sulla casacca da galeotto il numero 506.
       Egli narra che entrò in relazione con Acciarito, essendo le loro celle vicine. Fu Acciarito che cominciò a parlare con lui battendo sul muro. Il direttore, saputo ciò da una guardia, lo fece chiamare in ufficio e gli disse: benché condannato siete sempre un militare e dovete rendere un servizio al Re. Quindi l'incaricò di esortare Acciarito a parlare e dire chi l'avesse spinto all'attentato. Facilitò all'occorrenza le relazioni ponendo Petitto in un'altra cella vicina, in modo che i due potevano parlarsi dalla finestra. Ebbe carta, penna, e lapis per riferire immediatamente i colloqui.
       Acciarito sul principio non faceva che vaghe allusioni, poi cominciò a fare del nomi e fece, tra i primi, quello dell'on. Bissolati direttore dell'Avanti! Ma pareva che non volesse dire di più. Un giorno esclamò: quei quattro beccamorti non mi dovevano abbandonare, meriterebbero che li mandassi in galera. Ma non fece che il nome di Diotallevi. Più tardi, premurato da Petitto, fece il nome di Ciotti, Marchesini e Cavatelli o Ceccarellì. Parlò nei giorni seguenti di una conferenza che quattro giorni prima dell'attentato avrebbe tenuto Saverio Merlino il quale aveva detto che bisognava cominciare dalle teste incoronate. Qualche giorno dopo disse d'aver detto uno scherzo e che non Merlino ma Andrea Costa aveva tenuta quella conferenza.
       Il teste ammette di avergli dato a sperare che avrebbe ottenuta la libertà purché dicesse le cose precise, e di avergli anche parlato delle famose 700 mila lire nascoste.
       La minuta delle domande di grazia fu scritta da Acciarito e da Petitto insieme, però non mai Acciarito disse che il contenuto delle istanze era stato imposto dal direttore.
       Acciarito osservava che gli sarebbe dispiaciuto se quelle domande dovessero far processare i suoi compagni, mentre egli non le aveva scritte che per essere graziato. E lui, Petitto, gli rispondeva: no, no, abbi fiducia nel Re.
       L'avv. Albano fa varie contestazioni, secondo le quali Petitto non avrebbe potuto sapere certi nomi se non gli fossero stati indicati dal direttore Angelelli. Tant'è vero che da Acciarito furono fatti molti altri nomi, che non furono riferiti affatto all'autorità di polizia. E in una lettera Petitto non riporta i nomi di due pezzi grossi, perché desiderava prima, secondo scriveva, ricevere istruzioni dal direttore, al quale chiedeva colloquio.
       Altre contestazioni fa l'avv. Di Benedetto intorno ai nomi Cavatelli e Ceccarelli; in una lettera c'è un questi che non si sa a chi si riferisca.
       L'accusato Ceccarelli esclama: Per un errore di grammatica mi vogliono mandare all'ergastolo?
       Avv. Rodomonte. E vero che Acciarito ebbe a dire che colui che doveva uccidere il Re era Calcagno?
       Teste: Si, ricordo.
       Avv. Rodomonte. E si rileva dalla data delle lettere di Petitto che dopo la famosa lettera falsa e dopo che, secondo quanto ebbe ad affermare Petitto, il pensiero del ragazzo faceva impazzire Acciarito, dopo tutto ciò, Acciarito disse che Calcagno doveva uccidere il Re!
       Avv. Positano. Legge una lettera di Petitto in cui è riferito che, secondo le rivelazioni di Acciarito, coloro che gli dettero la spinta al delitto furono, nientemeno Merlino, Costa, Malatesta, Prampolinl, Agnini, Berenini, de Felice e Podrecca.
       Si leggono altre lettere, nelle quali Petitto riferisce dei mezzi usati per indurre Acciarito a parlare, mettendogli innanzi la visione del figlio, e dicendogli anche che avrebbero potuto avvelenarglielo.
       In un'altra lettera Petitto esprimendo la sua opinione intorno ad Acciarito dice: Mi fa i nomi di gente di Milano, di Torino, di Ancona, di Marsiglia, nomi così strani ch'io non so neppure se esistono nel calendario, ed io credo, per tutto ciò ch'egli dice, che invece d'appartenere ad una associazione anarchica, appartenga all'associazione degl'Infelici nel manicomio di Aversa (sic).
       A domanda del l'avv. Ranzi il teste ammette che Acciarito ebbe a narrargli d'avere col pugnale minacciato Diotallevi, perché non voleva sentire un suo discorso.
       Quindi Petitto se ne va. La sua breve ricomparsa nel mondo è finita.
       Si sente la guardia carceraria Spaduzzi, quella che Acciarito chiamò un Nerone e che avrebbe dichiarato di non aver mai pianto neanche quando mori suo padre. Ricorda che Acciarito sostituì lui stesso nella domanda di grazia alle due iniziali i nomi di Diotallevi e Ceccarelli. Non nega d'avere scortato Acciarito a fare i nomi di pezzi grossi e non di ragazzi. E' licenziato.
       Gli avvocati della difesa dichiarano di rinunziare alla maggior parte dei testi a difesa e non ritenerne che pochissimi. (bene!)
       Dieci minuti di riposo.


       I testi a discarico

       Al riprendersi dell'udienza il Presidente legge un telegramma dell'avv. Brenna col quale annunzia che il teste Calcagno arriverà oggi.
       Si passa al discarico. Per Collabona e Gudini si sentono solo tre testimoni, e si rinunzia agli altri. Duri Adolfo e Casciola Prizio conoscono il Collabona onesto estraneo a partiti, incapace di delitti, religioso. Stazio Giuseppe ha conosciuto Gudini per buonissimo ragazzo e non di idee anarchiche.
       In favore di Ceccarelli, depongono Magistri, Menghi, Pettinari, Zoli e Pinzi, dipingendolo lavoratore assiduo, onesto, amante della sua famiglia. In occasione di feste dimostrazioni o tumulti se ne stava ritirato per non aver fastidi. Il giorno dell'attentato fu come il solito a lavorare e così nei giorni precedenti.
       Lo stesso per Diotallevi depone il teste Pierini. Il teste Marabini, avvocato e professore, narra di un certo biglietto del Diotallevi, col quale questi dal carcere dava delle commissioni alla madre per Trenta Cherubino, per la Venarubba ed altri. Si constatò che questo biglietto non era del Diotallevi ed era falso. La persona che lo consegnò non si volle rivelare. Si rinuncia ad altri 14 testimoni, ed anche alla deposizione di Saverio Merlino.
       Siamo dunque alla fine! Non rimangono da sentire che Calcagno e l'on. Berenini non citati per oggi.
       A mercoledì, molto probabilmente, il verdetto.


       Acciarito coi genitori

       Ieri, il padre e la madre di Pietro Accinto ebbero un permesso di colloquio col figlio. Al colloquio presenziava il direttore delle carceri sig. Stelluti. Acciarito non pianse. Parlò della causa e disse ai suoi genitori che i quattro accusati sono innocenti. Aggiunse ch'egli spera nella grazia del Re, e che qualora il Re non la facesse, saprà farla... il popolo.

(Quarta Parte)



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