Alla mezzanotte dello stesso giorno vi fu una nuova scossa forte come la prima, ma meno crudele. Soltanto, più che dal primo moto, soffersero Messina e Reggio. Messina che non aveva ancora potuto riparare ai danni del terremoto di 40 anni prima, del 1744. Si accumularono in Messina, le nuove alle vecchie rovine. E i terremoti duravano, sovvertendo la terra e restituendo alla superficie le materie e gli uomini sepolti il giorno avanti. Un'altra scossa il 28 di marzo alle due di notte, durata novanta secondi, pervenne ai più lontani confini della prima Calabria e distrusse altre 17 città e 100 villaggi, per sette mesi, sino all'agosto durarono i moti distruggitori accompagnati anche da eruzioni vulcaniche e maremoti. E smentendo una popolare credenza che il terremoto si facesse sentire soltanto col cielo sereno, la terra si sconvolgeva sotto tutti i cieli: nuvoloso, piovoso, vario e sereno.
Lo sbalordimento invase tutti gli animi e si attutì perfino l'istinto della salvezza. Furono lenti gli aiuti, ma non per colpa del popolo, poiché anche nei terremoti di Calabria gli uomini furono, al dire degli storici, più buoni che cattivi.
Ieri come oggi. Si levano oggi alte le grida contro la deficienza del servizi e contro l'indugio del Governo. E il nostro storico ci ammonisce: «Velocissime giunsero in Napoli le prime nuove per la stessa celerità non credute e perché le verità che avanzano l'intelletto comune danno l'apparenza della fallacia. Altre voci di fama, altri fuggiaschi e nuncii e lettere avvisarono il Governo dei troppo veri disastri e subito, quando puotè umana debilità contro le forze sterminate della natura, fu provvisto al soccorso di quei popoli».
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