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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
patriota, insegnante, Teramo (11-6-1884). [Inizio Voce]di più sacro aveva su questa terra. Non le sofferenze materiali, non la lotta per la vita, non le gare politiche e religiose, non le invidie e le calunnie scagliate da gente ignava, potettero piegare, se non infrangere, quel corpo; ma egli, che a tutto ciò resisté qual torre, che non crolla al soffiar di venti, dové soccombere sciaguratamente nelle lotte del cuore. Dal 1880 incominciarono le sue più forti sventure: apopletico, cieco, malaticcio, non si arrese alla inumana sorte, che con voce assidua minava i suoi preziosi giorni, e volle seguitare a dettare lezioni e combattere per la vita desiderando come egli diceva, morire sulla breccia. Ma il destino, malvagio nella sua lotta coll'umanità, non contento di aver reso inerte quel corpo sano e robusto, volle anche spezzargli il cuore. Furioso ed incurabile morbo assalse il suo adorato Guido, già tenente dei Carabinieri malgrado giovanissimo, riducendolo dapprima scemo ed incosciente delle proprie azioni, e poco dopo freddo cadavere. L'infelice padre non resse a tanta sventura, e fin d'allora, ottobre 1883, Carlo Campana non fu più quel di prima. La sua robusta costituzione, la sua indole, il suo carattere valsero a tenerlo in vita per altri pochi mesi, ma altre malattie aggiunte alle prime demolirono infine quel residuo di corpo umano. Ed ora, Carlo Campana, il nostro maestro, il nostro amico, il nostro confidente, non è più. Addio, amato e venerato professore; noi ci prostriamo riverenti sulla tua tomba, cercando di respirare dai profumi dei fiori, che su di essa nasceranno, le tue massime, i tuoi consigli, le tue virtù. Addio, caro e venerato professore; possano le nostre lagrime, che abbondanti sgorgano dal nostro ciglio, fecondare quella terra che con tanto amore coltivasti e nascerne figli di te degni e della patria. (Ernesto Narcisi)
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