|
L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
(8-12-1886). Io ti amerò sempre. Ma tu, là / nel regno dei morti, non bevere ti / prego a quella coppa che ti farebbe / obliare i tuoi vecchi amici (Antica epigrafe greca) - Bastava averti vista una volta per ricordarti come una poetica visione, o Evelinza Rozzi!... Non potrò cancellare mai dalla memoria il tuo bel viso, il tuo cuore, le tue virtù... Era una sera con una luna bianca, pallidetta come in questo momento che scrivo; si passeggiava lungo la riva del mare, e tu mi parlavi del chiostro, della tua vocazione religiosa, del tuo sogno devoto. Oh perché il cuore ricorda sempre e l'affetto non muta mai? Pare impossibile che in si breve tempo sia tutto dileguato, come nebbia al vento... In quell'anno la giovinezza ti splendeva in quegli occhioni azzurri, la primavera della vita nelle tue mistiche aspirazioni. La fede (dicevi) o bisogna averla intera o niente, o vita o morte, o luce o tenebre... Sembravi ispirata, volevi convincermi. Ma quando io soggiungeva: queste belle e sante cose non puoi sentire ugualmente qui, sotto il nostro cielo, fra coloro che ti son cari e t'amano tanto? - zitta, zitta, tu, pronta rispondevi; la fede ha bisogno del riconcentramento, del silenzio, della pace!... Ma le vie buone, o Evelina, se son diverse fra loro... tendono ad un bene solo, ad uno scopo santo e sempre uguale... Pensaci, sai, così giovanetta rinchiudersi in quei vasti fabbricati, in mezzo a quelle figure vaganti pei corridoi bui, lunghi, freddi, espianti colpe non commesse mai, falli lievi e forse primi vagiti di giovinezza... soffocando ogni aspirazione del cuore, fosse anche la più santa, qual'è quella della famiglia, fosse anche la più celeste qual'è quella dell'amicizia?! Ella partì, animata dalla face ardente, forte della fede... ma le continue emozioni
|