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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
insegnante, L'Aquila (11-12-1886). [Inizio Voce]di Achille De Matteis, che ho appresa dalle belle parole del sig. Giacomo di Tizio, il quale delinea dell'egregio estinto un ritratto fedele. Sì, la mia mente vola ai giorni lieti de' miei studi liceali, quando nel liceo aquilano Felice Tocco c'insegnava filosofia con parola piena d'entusiasmo e di efficacia, Giovanni Zanei c'iniziava ai nuovi studi nel greco e latino e davane saggio di sua soda dottrina, Angelo Leosini ci faceva assistere ammirati al racconto sicuro e placido dei fatti storici ch'egli sciorinava scherzando con un bastoncino, e Achille De Matteis ci obbligava a sgobbare ore e ore nella soluzione di problemi d'algebra e trigonometrici. Achille De Matteis era il nostro terrore. Traducendo Luciano gli affibbiammo il nomignolo di Menippo, giunti nella storia alla Casa Austro-spagnuola quello di Filippo II. Quando dalla porta del liceo lo vedevamo spuntare in fondo a piazza Palazzo, ci sentivamo subito sotto l'impero della sua autorità. Raramente si assideva in cattedra, ma usava passeggiare su e giù per l'aula, rarissimi erano i rimproveri e gli elogi, espressi con qualche parola o cenno, non aveva seco registro di voti. Eppure si tremava: non si muoveva membro, non si fiatava. Chi può dire quello che succedeva in noi, se qualche volta poi ci rampognasse? e che valore avesse per noi un suo encomio? E si studiava, perché si sentiva che dovevasi o studiare o andarsene. Nel primo anno corsi pericolo d'essere disapprovato in matematica. La lezione mi bastò, perché mi mettessi l'anno appresso a lavorar tanto in quella materia da meritar poi e nel corso degli studi e alla licenza due sue lodi, delle quali niuna ricordo esser riuscita più dolce al mio animo. Ed io dell'avermi costretto a studiare matematica con tanta forza gli concepii sensi di gratitudine profonda,
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