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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
(8-2-1893). Date fiori, fatele di fiori un letto morbido ed odoroso, ché per stanchezza insolita ella è venuta meno. Lassù in Valle S. Giovanni era andata sposa al suo Alessandro; entrambi formavano la letizia dei loro zii patriarcali. Lei fu sempre l'incarnazione più soave della bontà più pura: per 12 anni fu il simbolo simpatico e benedetto della famiglia onesta e laboriosa. Parlando, oprando, affaccendandosi nelle domestiche cure, aveva sempre sulle labbra un sorriso gentile, che le illuminava il volto d'una luce angelicamente melanconica. Nell'estate ultima le pendeva dal collo, come grappolo dalla ricurva vite materna, un bambino di tre anni bello, roseo, robusto. Quel bambino le fu rapito in un tempo dalla livida parca; ed allora ella gittò un grido disperato di dolore, acuto sì che non si spense mai, e, come eco affannosa, insistente, ci ripercosse entro al suo petto fino all'ora estrema. Eppure di novella prole aveva carico il grembo: ma, quando il tre gennaio un altro angioletto vagì, trovò la povera Elvira con gli occhi fissi al Cielo, ove la reclamava il rapito figliuolo, che non poteva stare in paradiso senza di lei. Allora cominciò una lotta terribile, suprema. La terra, lo sposo, i superstiti figliuoli, i genitori, gli zii, le sorelle la contendevano al Cielo, ma la lotta finì con la vittoria del Cielo, ed il mattino del 5 corrente la martire adorata cadde e si spense. Oh! date fiori, fatele di fiori un letto morbido ed odoroso, (ed anche la figliuola mia stacchi dalle sue trecce bionde, il più fresco fiore d'arancio) e lasciate dormire in pace la povera Elvira. (C.T.)
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