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De Camillis Carolina
(2-4-1898).

Con vent'anni nel core, / Pare un sogno la morte, /Eppur si more! - Eppur si muore, e la scienza, riesce impotente, vane le cure infinite, tenere, affettuosi di desolati genitori, inutili le preghiere, le lagrime, il dolore, gli Angioli l'hanno reclamata innanzi tempo! Povera Carolina De Camillis! Al ritorno della primavera, al novello saluto delle antiche rondini, si è spenta la tua cara giovinezza, infranta la tua soave bellezza accoppiata ad una bontà e candidezza tale d'animo, per cui come generale era per te l'affetto, la stima, unanime e sincero ne è stato ora il compianto. Chi, in men di otto giorni, ha troncato l'inno così sonante della tua balda esistenza? Dio che strazio!... non par vero, eppure, o povero fiore, tu già dormi laggiù sotto le pratoline e le margherite, il sonno eterno, l'oblio del mondo! Come lenire l'inenarrabile dolore dei Tuoi disgraziati, dell'amate sorelle, dei cari fratelli, specie di Nicolino che a forza di baci di singulti, di spasimi voleva richiamarti a quella vita, così immaturamente spezzata? Come consolarsi le tue maestre che per molti anni t'ebbero carissima e prediletta e del convitto, e della scuola; eri l'orgoglio, il vanto? Oh come rapida passasti e tutto quanto ne resta oggi una memoria, tenera, indelebile che rivivrà in ogni fiore in ogni sorriso della natura, in ogni cosa bella e gentile. Se a tanta perdita, ci vince lo sgomento di credere inutile la bontà, la modestia il candore, se in un baleno finisce un tesoro così grande di pensieri, d'affetti, ci allieti almeno la speranza, che le tue virtù impareggiabili, non solo vivranno in eterno, ma saranno utile ammaestramento alle tenere fanciulle. Possa il tuo spirito aleggiare perenne nella casa paterna, che la morte ha resa muta, triste e vuota,

(segue...)