|
L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
arcidiacono, letterato, Teramo (19-2-1905) [Inizio Voce]— ch'io non saprei dire se sia più letterato o pensatore — domandava, dopo averne letto alcuni scritti: dov'era stato fino allora nascosto quel tesoro! Ed un altro di Roma ancora più alto locato, che non sapeva capacitarsi come tanto sapere potesse stare in un Prete e per dippiù vivente in una oscura borgata. O quello che, pieno di compiacenza, gli scriveva da Napoli il filosofo vivente Abruzzese, che gli aveva rubato — cosa che non aveva fatto mai con nessun altro — due periodi di un ultimo lavoro (quello sul Gioberti) che serviva per chiusa di un suo Discorso. No, non vi dirò nulla di tutto questo. Più che le parole lo diranno i fatti quando gli amati fratelli gli vorranno erigere un monumento aere perennius, pubblicando le innumerevoli epigrafi ed iscrizioni latine ed italiane, in molte delle quali eguagliò i migliori maestri nel genere; e delle sue prose potranno comporre molti volumi che saranno tante Antologie in ogni genere di scrivere. Ed allora i miei concittadini sentiranno ripetersi — come ora lo stanno ripetendo in cento lettere e telegrammi — quanto Illustre Uomo noi abbiamo perduto; ed allora anche arrossiremo di non averlo onorato in vita com'ei si meritava. Io aggiungerò solo quel che, direi, è stato appena toccato dall'Oratore che mi ha preceduto; e senza di cui la figura del Mezucelli riesce dimezzata, e solo appena per metà vera: Berardo Mezucelli fu uomo Politico, l'uomo, se potesse dirsi, più politico che abbiano avuto i nostri Abruzzi. Nato in quei tempi in cui tutto era sospiri per la libertà, preso da giovinetto dell'amor di patria per cui sofferse molti mesi di carcere, ci prese con questa ad amare quegli Uomini che più avevano lavorato e penato a far questa patria, che poi volevano conservata. E con essi e colla loro parte, — e in appresso con
|