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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Mirandola (11-11-1906) L'altra sera, quando in un gruppo di amici ci dissero che Alberto della Cananea era morto, stritolato da un treno, lontano, a Mirandola, dove era per ragioni del suo ufficio, una gran pena invase i petti di noi tutti ed un silenzio grave soffocò il nostro lieto conversare. Eravamo stati suoi compagni di scuola ed insieme avevamo diviso le fugaci emozioni di quelle prime battaglie: uno stesso banco ci aveva accolto; allo stesso pascolo le nostre menti ebbero i primi fiori della scienza ed i primi palpiti di vita: la stessa fonte ci aveva dissetato lungo il cammino. Poi, un bel giorno, usciti fuori dalle aule del liceo, non ci eravamo più visti che di rado: il pensiero del proprio avvenire, l'urgenza di conquistarlo, il desiderio di più vasta cultura ci avevano bruscamente disseminati lontano gli uni dagli altri, ed era gran ventura se talora potevamo riunirci in due o in tre de l'antica compagnia amichevole, a rimemorare il passato... Fu così, in uno di questi momenti, che noi, pochi amici raccolti in cerchio a conversare, sapemmo la brutta notizia! Ricordai allora, con la memoria del cuore che mai travolge ne la dimenticanza i giorni lieti de la nostra prima giovinezza, ricordai quando veniva, ne le giornate soffocanti del luglio, con i libri sotto il braccio, paziente, pensieroso e volenteroso, come mai nessuno ho visto. Saliva fino a la camera mia, a l'ultimo piano, si sedeva al tavolino, apriva i suoi libri e ci mettevamo al lavoro. Qualche volta, quando l'ombre incominciavano a scendere ed il cicaleccio che saliva su dal corso ci avvisavano de l'ora de la passeggiata, era sempre lui che con dolcezza affettuosa, fraterna mi richiamava a lo studio, e scacciava le mie tentazioni. Ed io davanti a quella volontà tenace, forte,
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