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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
poeta (17-4-1910) La notizia ferale a quest'ora sarà già appresa da quanti conobbero l'uomo valoroso, il poeta gentile che nel nostro Abruzzo sentì rivivere il suo povero cuore duramente provato a tutte le avversità, a tutti i dolori. Giovedì, 7 corrente, alle ore 18 egli entrava con la figliuola gentile e bella, nella sala di conferenza dell'Associazione Archeologica Romana, per leggervi i suoi sonetti su «La poesia di Roma». Era lieto e sorrideva del suo luminoso sorriso buono, mentre parlava con gli amici, con gli ammiratori che lo festeggiavano. Mezzora dopo, saliva sulla cattedra e cominciava a leggere i suoi versi, nel religioso raccoglimento del pubblico intellettuale adunato nella vasta sala, fra le statue e le erme d'un tempo lontano, che guardavano con i freddi occhi immoti un mondo tanto diverso dal loro. Il Poeta leggeva i suoi versi squisiti, con la passione dell'artefice per l'opera sua. Quando cominciò il secondo sonetto, noi lo vedemmo stringere con la sinistra l'orlo della cattedra, dondolandosi lentamente. Nessuno pensò che potesse sentirsi male. Credemmo che tale fosse, il suo modo di declamare e stemmo calmi, ascoltando. Il sonetto finì e senza pausa, il poeta cominciò, a dire il terzo! Dopo la prima strofa ebbe un istante di sosta, impallidì, annaspò l'aria con la destra e cadde abbattendosi sullo schienale, come una quercia fulminata. I vicini lo sollevarono, lo portarono di peso in un'altra sala, lo deposero su un divano facendogli odorare dei sali e spruzzandogli acqua diaccia sul viso. Il Poeta rinvenne, ma non poteva muoversi. Tutto il lato destro del suo corpo era paralizzato. Biascicava chiaramente brani delle sue poesie, e disse sinanche ad un amico: - Vai tu a leggere i miei versi; verrò ad ascoltarti! Ma, il male incalzava,
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