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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
(24-12-1915) Da qualche tempo un fosco temporale, gravido di procelle, rischiarato a sbalzi da qualche lembo di cielo terso, che fa brillare la speranza di un sereno duraturo, ma tosto coperto da nubi ancora più minacciose, imperversa sulla famiglia Sabatini, tanto amata e stimata qui ed altrove. Tutta un'armonia di lietezza domestica, di amore, di affetti, come per incanto, si è spezzata in quella casa. Una gioventù, forte di ingegno, di coltura, di bontà, di carattere integerrimo, vanto di nostra terra, che ha portato anche in altri luoghi ed in altre case la pace e l'amore ed il ricco corredo di esemplari virtù, frutto di atavico esempio, rendeva in quella famiglia sempre più gaia la vita. Filippo Sabatini non doveva, come tutti gli uomini, godere a lungo di queste gioie domestiche. Egli, per fatalità, doveva assaporare le amarezze più atroci per un cuore sensibile, per un animo nutrito dei più sacri affetti. E davanti al cumulo di tutte le famigliari sventure la sua fibra, per quanto forte, si è spezzata. Il telegrafo l'altro dì portava il triste annunzio della morte del caro Don Filippo Sabatini, mentre le più rosee speranze aleggiavano intorno a noi per la sua pronta guarigione. Egli, a Bologna, ove si era recato per ricuperare la salute, circondato da tutti i suoi cari, con cristiana rassegnazione, il 18 corrente, serenamente moriva. Ma rivive nell'anima popolare, che sente tutto l'impulso della generosità, e fa sebbene spesso tardi, apprezzare il valore dei suol concittadini; vive nel cuore dei suoi amici, che hanno potuto assaporare le dolcezze delle sue idealità di una vita intemerata e modesta, dedita al fecondo lavoro, alle cure della famiglia; rivive nel santuario dell'avita casa, ove tutto parla di Lui. Filippo Sabatini non visse solo per
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