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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
insegnante, archeologo, deputato, Roma (4-11-1922) [Inizio Voce]il raggiungimento di un antico sogno, la Scuola d'arte, di cui egli fu il Presidente Onorario, e deve la tutela di tanti altri vitali interessi; ma il Barnabei riconobbe sempre di aver dovuto a Castelli e alla bontà dei genitori la ragione prima di tutta la sua gloria. Castelli, ab antiquo, è stata terra feconda di genii e il vivaio è stato sempre la classe dei majolicari. La vita di Felice Barnabei dovrebbe essere conosciuta da tutti, Plutarco ne avrebbe scritto certamente la storia per l'alto intendimento educativo e morale che ne deriva. Dirò in breve le notizie principali. Tito Barnabei, padre dell'illustre scomparso, era un operaio intelligente, povero perchè solo possedeva una casetta e una bottega da maiolicaro. Senza istruzione di disegno sapeva dipingere bene sulla majolica e questo, a Castelli, lo sanno molti, è frutto comune di inclinazione naturale. Egli conosceva la storia e le opere di tutti i grandi artisti pittori castellani, i Grue, i Gentili, i Fuina, e chi sa quanto avrebbe fatto, nel cercare di imitarli, per potersi anche egli distinguere! I suoi lavori stanno a dimostrare un forte ingegno naturale. Sposò Concetta Giardini di Atri che fu una santa donna, e all'imeneo si presentò, (fu risaputo ed è fisiologicamente importante), casto e puro come la sposa. «Virginius Virginiae», mi disse poi il figlio, essere il motto trovato in tombe romane per consacrare ai posteri quanto era pur raro in tempi antichi. Il giro di nozze fu un viaggio a piedi sino ad un santuario di Campli, dove gli sposi andarono a pregare con fervore e principalmente pregarono in ginocchio innanzi al quadro di un S. Felice, al quale santo fecero voto di porre il nome di Felice al primo figliuolo, se fosse stato un maschio, con promessa di educarlo in modo da far onore al paese. Nacque
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