- »
«Dir questo e dare un calcio alla porta e sfondarla, fu tutt'uno: venne un colpo di vento, tutti i doppieri si estinsero, e cavalieri e dame si videro al bagliore di pallidi torchi come spettri. Ma a traverso la porta spaccata apparve un incantato paesaggio di foreste, di montagne, di laghi dormenti al lume di luna. Allora il magico poeta, presa un'arpa obliata, ne trasse accordi miracolosi: le foreste lontane fremevano deliziosamente. A quelle melodie carezzevoli, si svegliarono i geni de' boschi e le dee delle acque, a riannodare i lor giri di ballo, a rinnovare i canti tentatori. Ai sospiri della magica arpa, ai richiami dell'incantatore, uno stuolo di fantasmi leggeri appressň e scivolň nella sala sotto gli occhi della gente attonita. Arrivarono dal fondo dei lor domi di verdura le elfidi selvagge, coronate di fiori fantastici e con ghirlande di betulla, a rintrecciare le danze fugaci al lume della luna. Arrivarono dal fondo dei lor palazzi di cristallo e delle cascate schiumanti le nisse, pazzerelle ridenti, dal seno di neve palpitante; elle si precipitarono, abbracciate, in una ridda furiosa. Talvolta le piú folli, passando davanti l'incantatore, volgevansi; e belle, scapigliate, col seno aperto, con un lampo di riso su le labbra, parevano volergli rapire un bacio, ma sfioravano l'arpa. E in mezzo al cerchio delle ondine passava, misteriosa apparenza, la diletta del poeta, con le braccia incrociate sul petto, con la testina bruna inclinata, con un sorriso strano su le labbra: tenerezza o ironia?
| |
|