[783] In onta alle rapide evoluzioni del nostro incivilimento che fanno ogni nuova generazione tanto diversa da' suoi padri, sopravive ai nostri giorni nella penisola indiana un gran popolo, o piuttosto una gran famiglia di popoli, numerosa di cento e più millioni, su la quale sembra che la mano innovatrice del tempo non abbia forza. Le sue leggi, le scienze, le opinioni; i costumi, li idoli, i sacrificii si conservano al tutto quali erano milliaia d'anni addietro, quantunque sia da più secoli penetrata per ogni parte da genti straniere, e annodata seco loro a ineluttabile convivenza.
Vico, dopo ch'ebbe scoperto nelle istorie della Grecia e di Roma un procedimento commune, lo riputò principio naturale di tutto il genere umano; e lo circoscrisse a un ricorso perpetuo d'emancipazioni che dalla omerica violenza conducono le genti all'equità civile, onde poi per la curva d'un'inevitabile corruttela, e quindi d'una recidiva barbarie, s'inaugura una nuova carriera d'emancipazioni. Ma questa sua formula non porge il filo dell'incivilimento indiano, nel quale, in luogo delle successive trasformazioni, regna il principio d'una ferrea perpetuità, come se la natura umana fosse colà costrutta d'altri elementi. Perloché in quella fede d'un continuo progresso della quale sembra compreso il nostro secolo, tanto più giusto è il desiderio d'intendere il secreto d'una società che pare esclusa da quelli che noi riputiamo necessarii destini del genere umano. E forse non è senza pratico frutto l'indagare a quali istituzioni per avventura si debba codesta immobilità; perocché in vero mal si potrebbe attribuirla interamente a natura singolare della nazione inda, la quale, a preferenza di molte altre, si collega per lingue, e quindi per antica parentela all'Europa, e nella congerie [784] delle sue dottrine tante ne ha communi con quelle dei nostri antichi e di noi.
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