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      Ahimè! queste sono le pompe dell'esequie italiane e giova ricordarle anche ai tempi dell'obolo di san Pietro, raccolto dall'Europa cattolica per pagare scene che non lungi da san Sisto e da Guardia rattristano ancora 1'umanità, rinnovellano gli orrori di que' tempi, onde il carro d'una nazione s'affondi nel sangue e sia l'Italia maledetta persino dagli Italiani. Proseguiamo adunque. Sui diritti della verità e della storia non primeggia diritto.
      Il Caracciolo e suo cognato il marchese diedero mano li 11 giugno43 alla tremenda giustizia, che essi, fra Valerio e gli auditori avean già meditata e fissa da qualche giorno. Fra Michele dell'Inquisizione, che divenne poi santo, al fratello del marchese avea promesso, si dice, la porpora, appena in Calabria fosse estirpata l'eresia. E la giustizia fu tale che solo in pensarvi è spaventevole, scrive un cattolico; giustizia ch'è meglio un macello, altro cattolico esclama.
      Non bastando la fatta carnificina, si volle dare un formale esempio. I prigionieri guardioti stavano chiusi, ammucchiati dentro una casa. La mattina dell'11 venne il boja a pigliarsi a una a una le vittime. Trattone quello che gli capitava fra mano, gli legava una benda sugli occhi e menavalo in un luogo spazioso poco distante da quella casa. Qui fattolo inginocchiare, con un coltello gli tagliava la gola, e lo gettava da parte, cadavere, o agonizzante com'era. Ripresa poi quella benda e quel coltello, su tutti gli altri ripeteva la stessa operazione. In quest'ordine ottanta otto persone furono sgozzate.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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