E perché? Adelchi opera, ma l'opra riman fuori di lui, opera per dovere, senza che vi partecipi l'anima sua. Quando si tratta di qualche cosa in cui deve entrare parte di sé, egli predica, parla, diventa elegiaco. Perché? Perché non ha l'energia del suo ideale.
Supponete un uomo il quale in tempi di barbarie, di violenza, avesse le grandi aspirazioni di Adelchi, presentisse un mondo migliore, più civile, ed avesse tanta energia da esser capace di attuare il concetto morale ch'ei si ha formato del mondo: l'ideale non rimarrebbe nel cuore, non si esprimerebbe a parole, non si sfogherebbe in lamenti; egli cercherebbe realizzarlo, cadrebbe vittima, morrebbe, perché il destino degli uomini incompresi che sentono di trovarsi in un mondo alieno ad essi è quello di cadere vittime, martiri dell'avvenire, lasciando una pagina nella storia. Guardate un ideale che vuol realizzarsi nel Marchese di Posa di Schiller: ma qui pure il concetto non è pari all'ideale, e quel personaggio è rimasto un intrigante. L'Adelchi non ha l'energia di mettersi in faccia alla contraddizione, di opporsele, anche a costo di spezzarsi in quella: potrebbe ubbidire rendendo poetico, prezioso il suo sacrifizio, la rinunzia di se stesso in quello stato di lotta. Non è personaggio drammatico; potrebbe essere lirico se l'autore lo mettesse in ultimo in una situazione che gli strappasse un grande lamento contro la violenza de' tempi.
Questo l'ha fatto qui, ma l'eroe non è Adelchi, è Ermengarda. Adelchi? Come volete prendere interesse per Adelchi, trovandovi innanzi a tanta catastrofe, alle figure colossali di Carlo, di Desiderio?
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