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      [233] E perciò quelle che sono, o vogliono essere, ben costumate, procurino di guardarsi non solo dalle disoneste cose, ma ancora dalle parole, e non tanto da quelle che sono, ma etiandio da quelle che possono essere, o ancora parere, o disoneste o sconcie e lorde, come alcuni affermano essere queste pur di Dante:
      Se non ch’al viso e di sotto mi venta;
      o pur quelle:
      Però ne dite ond’è presso pertugio;
     
      Et un di quelli spirti disse: Vieni
      Dirieto a noi, ché troverai la buca.
      [234] E dèi sapere che, come che due o più parole venghino talvolta a dire una medesima cosa, non di meno l’una sarà più onesta e l’altra meno, sì come è a dire Con lui giacque e Della sua persona gli sodisfece, perciò che questa sentenza, detta con altri vocaboli, sarebbe disonesta cosa ad udire. [235] E più acconciamente dirai «il vago della luna» che tu non diresti il drudo, avegna che amendue questi vocaboli importino «lo amante», e più convenevol parlare pare a dire la fanciulla e l’amica che «la concubina di Titone»; e più dicevole è a donna, et anco ad uomo costumato, nominare le meretrici femine di mondo (come la Belcolore disse, più nel favellare vergognosa che nello adoperare) che a dire il comune lor nome: «Taide è la puttana», e come il Boccaccio disse, «la potenza delle meretrici e de’ ragazzi»; ché, se così avesse nominato dall’arte loro i maschi come nominò le femine, sarebbe stato sconcio e vergognoso il suo favellare. [236] Anzi, non solo si dèe altri guardare dalle parole disoneste e dalle lorde, ma etiandio dalle vili, e spetialmente colà dove di cose alte e nobili si favelli; e per questa cagione forse meritò alcun biasimo la nostra Beatrice, quando disse:


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Galateo overo De' costumi
di Giovanni della Casa
pagine 75

   





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