Attende al passaggio i nostri compagni più piccoli e fa grandinar dei pugni sulle loro teste, e a me lancia pubblicamente delle sfide. Per queste più che sufficienti ragioni decido di battermi col macellaio.
È una sera d’estate, in una verde insenatura, presso l’angolo d’un muro. M’incontro col macellaio al momento stabilito. Mi accompagna un corpo scelto dei miei compagni; il macellaio ha ai suoi fianchi altri due macellai, il garzoncello d’una bettola e uno spazzacamino. Regolati i preliminari, il macellaio ed io ci trovammo a faccia a faccia. A un tratto il macellaio accende diecimila candele col mio sopracciglio sinistro. Un istante dopo, non so più dove sia il muro, dove mi sia io o dove si siano gli altri. Appena distinguo fra me e lui, e non so perché formiamo un tal groviglio e un tal parapiglia, picchiando e rotolando sull’erba pesta. A volte, veggo il macellaio sanguinante ma baldanzoso; a volte non veggo nulla, e sto anelante sul ginocchio del mio secondo; altre volte mi scaglio in furia contro il macellaio, ferendomi le giunture delle dita distese contro la sua faccia, cosa che par non lo scomponga affatto. Finalmente mi sveglio, con una gran pesantezza in testa, come da un sonno d’ubbriaco, e veggo il macellaio andarsene, festeggiato dagli altri due macellai, dallo spazzacamino e dal garzoncello della bettola, nell’atto che si rimette la giacca; e io ne deduco, giustamente, che la vittoria è sua.
Son condotto a casa in una triste condizione, e mi si applicano delle pezze sulla faccia, e sono sfregato con aceto e spirito, e trovo certo gonfiore bianco sul mio labbro superiore, che si mette a crescere smisuratamente.
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