E chi sa che tali macchie, per doverci apparire nel campo splendido del Sole, non sieno molto maggiori di quello che mostrano? Anzi che pur di ciò può esser ottimo testimonio a sé stesso il medesimo Apelle, riducendosi in mente quello che scrisse nella terza delle prime lettere, al secondo corollario, cioè: «maculas satis magnas esse; alias Sol magnitudine sua illas irradiando penitus absorberet»: e l'istesso conviene affermar del corpo di Venere. Doppiamente, adunque, si può errare nell'agguagliar la grandezza di Venere luminosa a quella delle macchie oscure, poi che quanto questa vien apparentemente diminuita dal vero, mediante lo splendor del Sole, tanto quella vien ingrandita.
Né con maggior efficacia conclude quel che Apelle soggiugne in questo medesimo luogo, per mantenere pur Venere incomparabilmente maggiore di quello che è e che io accennai nella prima lettera: e contro a quello che ci mostra il senso e l'esperienza, in vano si produce l'autorità d'uomini per altro grandissimi, li quali veramente s'ingannarono nell'assegnar il diametro visuale di Venere subdecuplo a quel del Sole; ma sono in parte degni di scusa, ed in parte no. Gli scusa in parte il mancamento del telescopio, venuto ad apportar agumento non piccolo alle scienze astronomiche; ma due particolari lasciano da desiderar qualche cosa nella diligenza loro. Uno è, che bisognava osservar la grandezza di Venere veduta di giorno, e non di notte, quando la capellatura de' suoi raggi la rappresenta dieci o più volte maggiore che 'l giorno, mentre ella ne è priva; ed arebbono facilmente compreso, che 'l diametro del suo piccolissimo globo non agguaglia tal volta la centesima parte del diametro solare.
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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore 1953
pagine 265 |
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