Se valgo a qualcosa, eccomi qua pronto a mostrarle che se ho peccato di lungaggine, non ho peccato d'ingratitudine.
Mio padre la saluta caramente.
128.
Al Direttore della Rivista.
Stimatissimo Signor Direttore.
Mi disse Bista che lasciò a Lei quella vera bazzoffia di versi saffici, scritta a Girolamo Tommasi. Io la teneva per una mola, nata e sputata fuori in un momento di ninfomania, e non l'avrei fatta vedere a nessuno fuori che a Bista, compare che mi tiene al battesimo anco gli aborti, tanto vuol bene al babbo che gli mette al mondo. Ora, in quest'ozio beato della campagna, ho ripreso e rileccato, come dicono che faccia la mamma dell'orso, codesto povero Scherzo, per vedere se appoco appoco mettesse il capo e la coda, e pigliasse l'aria di famiglia. Mi farebbe la grazia di rimandarmene la prima faccia scarmigliata? Vorrei confrontarla colla nuova, e vedere se abbiamo migliorato di salute, o se invece siamo andati di male in peggio. Io, in ogni modo, quando ne faccia caso, prometto di rendergliela. Non mi dica di no, e (se non l'incomoda) per maggior sicurezza, me lo spedisca a Pescia per la posta, raccomandato a Pietro Papini, distributore delle lettere.
La prego a scusarmi, molto più che oramai, per quel buon ufficio di Bista che ho detto di sopra, tra noi c'è, anco secondo la chiesa, una mezza parentela.
129.
A Massimo D'Azeglio.
Caro Massimo.
Profitto della cortesia di Castillia per farmi vivo anco con voi, tantopiù che sarei stato in obbligo di scrivervi da anni domini. Oltre alla solita infingardaggine della quale mi magagno sempre, senza correggermene mai, quest'anno me ne sono piovute addosso di tutte.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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