Scrivo al Manzoni la cagione che m'ha fatto indugiare tanto a rispondere, e spero che l'accetterà per buona, e che mi varrà anche tra lei e me.
Senza stare a pigliarla tanto alla larga, le dirò schiettamente che quella lettera mi fece un gran piacere. Le sue sono di quelle lodi che si possono prendere per moneta corrente e che non fanno ripienezza ma un vero buon pro: tanto più che una certa Prineide mi disse tempo fa che ella in queste faccende deve sapere dove il diavolo tiene la coda. Ecco, se io m'intendessi un briciolino del fare accademico, mi sarebbe venuta la palla al balzo per rimandarle tutte le belle cose che ella mi dice. Ma buon per lei che è capitato alle mani d'uno avvezzo a dirle come Dio vuole, rimettendosi alla discrezione degli altri; diversamente bisognava che la s'asciugasse un letterone nelle forme, scritto sulla falsariga del Caro, che può far testo di lingua non solo ai parolai, ma agli adulatori e agli umilissimi servi. E poi, l'ho a dire come la penso? Con lei tirerei via a ogni modo, perchè sento d'averci confidenza come se la conoscessi da un secolo. Che sia la Prineide?
Quanto al Porta,
Purchè l'anima sua se ne contenti,
godo moltissimo d'essergli paragonato, e so di guadagnarci un tanto. Che se egli scrisse in milanese fece benone, perchè io non credo che metta conto castrarsi e impastoiarsi da sè per esser citati dalla Crusca. Tutti i dialetti dell'Italia hanno le loro grazie, come i popoli che li parlano un brio loro particolare; e guai a chi si trapianta.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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