I Limontini si preparavano anch'essi a ritornare alle loro montagne, lieti e superbi della gloria acquistata in quella notturna riscossa, e non iscemati che di quattro uomini caduti sotto le azze tedesche.
Le lance del monastero di Sant'Ambrogio, che per disposizione del Vicario dovevano rimanersi in Milano, vennero a dare il buon viaggio ai loro amici: Lupo domandò del Vinciguerra, che non si vedeva cogli altri, e intese ch'era stato ucciso in una sortita fuori del Borgo di Porta Ticinese: alcuni de' suoi, stando sull'alto d'una torre, l'avevan veduto stramazzar da cavallo e difendersi a piedi come un leone, menando in giro la sua mazza di ferro; s'era perso un momento tra la folla dei nemici che gli si serravano addosso da ogni banda; lo credetter preso, ma poco dopo riconobbero il suo teschio sanguinoso confitto su d'una lancia. - È morto da buon soldato facendo il dover suo, - disse Lupo; - Il Signore lo riposi; - e non si parlò più che di cose liete.
La mattina stessa che quei buoni montanari doveano porsi in viaggio, venne chiamato in gran fidanza il loro pievano che benedicesse le nozze fra Ottorino e Bice. Quantunque Azzone fosse già riconciliato di fatto colla Chiesa, durava tuttavia sul contado di Milano l'interdetto che fu levato alcuni mesi dopo; e però potea passar benissimo con onore che la benedizione delle nozze si desse così alla sfuggita, senza le solennità consuete, e le pompe convenienti alla condizione degli sposi.
Marta, la madre dell'annegato, venne quella mattina col suo fardelletto sotto al braccio a far le dipartenze colla famiglia del Conte, dalla quale aveva ricevuta così cortese ed affettuosa ospitalità.
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