Buon dì, maestro Gioacchino: accostatevi qua... più qua... abbiamo bisogno di una cassa...
Eccellenza sì; e per che cosa ha da servire?
Per me.
Capisco, eccellenza, che ha da servire per lei; ma per quale uso, via?
Per me... per me... per rinchiudermivi dentro quando mi seppelliranno nella sepoltura di casa.
Capisco, capisco, una cassa da morto per vostra eccellenza.
Appunto così; - prendetemi la misura...
Oh! non accade; veda, eccellenza, si fanno tutte a un modo.
Male, malissimo. Per quelli che sono di statura breve come me avanza legno: e da questo spreco vengono aggravati di una spesa, che hanno ragione di non sopportare...
Eccellenza, creda, la è cosa che non mena a nulla...
Come non mena a nulla, sciupone? Io vo' che voi mi prendiate la misura...
Come vuole vostra eccellenza;
- e lo misurò.
E quanto mi farete pagare questa cassa?
A voi nulla, eccellenza; me la intenderò con gli eredi...
Che eredi, e non eredi? e sempre con questi eredi. L'erede sono io; i conti l'avete a fare con me: - spendo del mio... vo' sapere io...
Non s'incollerisca, di grazia; a volere una cassa andante, con la sua croce nera di tinta buona, e i chiodi di ferro pel coperchio, ci vogliono due ducati come pigliare un pane al forno: questo anno il legno è caro, ne chiedono otto ducati la canna: e se casca un baiocco te lo ripongono in magazzino. Ma per lei bisogna lavorare una cassa nelle regole, di legno noce, e chiodi con la capocchia di ottone, o di argento: converrà eziandio foderarla di panno nero, e metterci sopra la sua brava croce di tela bianca; - però... due e tre fanno cinque, (continuò il maestro contando sulle dita) e dieci quindici, e sette ventidue, trentaquattro.
| |
Gioacchino
|