Lagnandosi un giorno questi col Facelli della propria ignoranza del disegno e dell'ostacolo insuperabile che, siccome egli ben vedeva, avrebbe essa posto ad ogni suo progresso avvenire, il Facelli brevemente gli disse:
- Ti duole di non sapere il disegno? Ma dunque imparalo.
- E chi me lo insegnerà?
- Io: lo conosco abbastanza per insegnartene gli elementi. E tu in ricambio m'insegnerai l'aritmetica, che sai molto bene, e che io so pochissimo.
Così fu fatto. Il Facelli conosceva abbastanza bene il disegno di architettura. E quando il giovane Moncalvo, munito di un piccolo Vignola e di un compasso ebbe fatto i primi esercizi, s'innamorò talmente di questo studio, che si doleva del tempo che gli toglievano le ore del sonno e del cibo, che pure aveva ridotte a minimi termini, e gli pareva di essere trasportato in una nuova atmosfera, in un mondo ignoto e pieno di meraviglie.
In tale stato d'animo un amico gli imprestò un libro molto in voga allora nell'Astigiano, intitolato Colloandro fedele. Questo valse a risvegliare in lui l'amore alla lettura, che in breve divenne tanto ardente quanto quello del disegno: ebbe in mano l'Alfieri, s'innamorò di recitare a memoria i versi, e da quel giorno in poi, fino ad oggi il disegno e la lettura gli occuparono incessantemente tutti i ritagli del tempo, che sono sempre molti anche nella vita meglio occupata ed operosa.
Quando appunto allora il Moncalvo per tal modo veniva dolcissimamente assaporando quella prima ineffabile voluttà del lavoro intellettuale intorno all'arte, gli stava sopra minacciosa una gravissima sventura.
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