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      Ma la povertà mi faceva sostenere quella fatica, e la fame mi rendeva dolcissimi i baci di quel cataletto. E poco mancò che io non divenissi erede di quanto ella aveva, se un mariuolo di servo non l’avesse avvertita di un veleno che avevo comperato per lei. Scacciato immantinente, pure non mancai del necessario: mi messi a fare il retore, ed affaccendarmi nei giudizi, spesso intendendomela con le due parti, e promettendo ai gonzi il favore dei giudici. Molte cause perdo, ma ho anche palme verdi su la porta, e intrecciate a corona: e queste mi servono come ésca per chiappare gli sfortunati che mi capitano. Ma quell’essere odiato da tutti, e conosciuto per malvagità di costumi, e prima per malvagità di parlare, quell’essere mostrato a dito, e dirmi: Ve’ questi è colui, quella cima di tutti i furfanti! che vuoi che ti dica? a me pare una gran cosa. Questi sono i precetti che io ti do, e ti giuro per Venere popolare,(25) che io già me ne giovai, e ne acquistai non poca riputazione.»
      E basti: così detto, il valentuomo finirà. Tu se ti persuaderai di questi detti, fa’ conto di essere giunto dove da prima desideravi di venire, e non ci sarà più ostacoli, seguendo questa regola, a vincer cause ne’ tribunali, ad essere applaudito dalla moltitudine in parlamento, ad essere amato e sposare non una vecchia commediante, come il tuo duca e precettore, ma una donna bellissima, la Rettorica; sicchè potrai dire di te, meglio che Platone non disse di Giove, che anderai pe’ cieli sovra un cocchio alato.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





Venere Rettorica Platone Giove