Così quelle: ma la donna modesta usa dell’oro quanto le basta, e quanto pur l’è necessario; e credo non si vergognerebbe di mostrare la sua bellezza anche senza di esso. Il cielo di questa sala adunque, anzi il suo capo, vago per sè stesso, è così ornato d’oro come il cielo di notte splende per gli astri sparsivi, e si abbella de’ loro fuochi: se fosse tutto fuoco non ci parria bello, ma terribile. E qui si vede che l’oro non è ozioso, nè messo fra gli altri ornamenti per solo diletto, ma dà un piacevole splendore, che colora di biondo tutta la sala; chè quando la luce vi batte, e si mescola con l’oro, risplendono insieme, e addoppiano la serenità di quella biondezza. Tale è il palco ed il soffitto di questa sala, che a lodarlo ci vorria Omero il quale lo direbbe di sublime volta, come il talamo di Elena, o raggiante, come l’Olimpo. Per gli altri ornamenti poi, per le dipinture delle pareti, e per i bei colori, tutti lucenti, puri, e schietti, si potria ben paragonare ad una veduta di primavera, ad un prato fiorito; se non che lì sfiorisce, seccasi, mutasi, e la bellezza si perde; e qui la primavera è perpetua, il prato non secca mai, ed il fiore è immortale, perchè la sola vista lo tocca, e ne raccoglie la dolcezza. Ora tante e tali vaghezze chi non si diletterebbe a vedere? e chi non bramerebbe, anche con uno sforzo, parlare in mezzo ad esse, sapendo che è gran vergogna lasciarsi sopraffare dalla veduta? Perocchè assai tira l’aspetto delle cose belle, e non pure l’uomo, ma il cavallo con più brio corre per un campo piano, molle, accogliente il passo, cedevole sotto il piede, e non resistente all’unghia; e allora spiega tutte le sue forze, si slancia alla carriera, e gareggia con la bellezza del campo.
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Omero Elena Olimpo
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