Infine Alcidamante rovesciò il candelabro, e ci fece rimanere al buio: lo scompiglio crebbe, non si poteva avere un altro lume, ed all’oscuro si fecero di assai cose e di brutte. Quando finalmente venne uno con una lampada fu visto Alcidamante che scovriva una suonatrice e voleva sforzarla; fu colto Dionisodoro che n’aveva fatta una più nuova: chè mentre s’alzava di terra gli cadde una tazza dal seno, ed ei per iscusarsi diceva che Iono in quel parapiglia l’aveva presa e data a lui per non farla perdere; e Iono prudentemente rispose che però l’aveva fatto.
Dopo di questo si sciolse il convito: e le lagrime finirono con una risata alle spalle di Alcidamante, di Dionisodoro e di Iono. I feriti furono portati via a braccia assai mal conci, specialmente il vecchio Zenotemi, che con una mano si teneva il naso e con l’altra l’occhio, e gridava che moriva dal dolore; onde Ermone, quantunque ben concio anch’egli e con due denti spezzati, chiamandoci in testimoni, disse: Ricordati, o Zenotemi, che tu non tieni per indifferente il dolore. Lo sposo, medicatagli la ferita da Dionico, fu portato a casa con la testa fasciata, e adagiato nella lettiga che doveva ricondurre la sposa: e così al poveretto tornò amara la festa delle nozze. Gli altri medicati da Dionico alla meglio e fasciati, furon condotti via: e molti andavan vomitando per le strade. Alcidamante rimase, chè non fu possibile di cacciarlo: come si gettò traversone sovra un letto, vi si addormentò.
E così, o caro Filone, ebbe fine il banchetto; al quale stanno bene quei versi del tragico poeta:
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