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      No, se fortuna disertò, rimango io. Bel rifugio è morte che ci libera dal pericolo di ogni turpitudine. Ed ora, o Archia, io per me non isvergognerò Atene, scegliendo volontario la servitù, e rigettando un bellissimo lenzuolo mortuario, la libertà. E tu puoi ricordarti ben tu di quelle belle parole della tragedia:
      Ella mentre moriva pur badava
      A cader con decoro.
      Così una donzella:(145) e Demostene ad una decorosa morte preferirà una vita indecorosa, dimenticando i detti di Senocrate e di Platone su l’anima immortale?» E disse cose più amare scagliandosi contro quelli che insolentiscono per la fortuna. Ma che più debbo io ridirti? Infine ora con le preghiere, ora con le minaccie, mescevo il dolce e l’amaro. Ed egli: «Mi arrenderei a questo, se fossi Archia; ma perchè sono Demostene, lascia, o sciagurato, chi non è fatto per esser vile.» Allora veramente, allora mi venne in mente di strapparlo fuori con violenza, e come ei se n’accorse sorridendo e guardando nel Dio, disse: «Parmi che Archia creda che solamente armi, e triremi, e mura, ed eserciti sieno difese e rifugi alle anime umane, ei sprezza l’apparecchio mio, che gl’Illirici stessi, e i Triballi, ed i Macedoni non biasimerebbero, e che è più saldo di quel nostro muro di legno che l’oracolo disse inespugnabile. Con questa antiveggenza io fui non timido cittadino, non timido nemico dei Macedoni, non mi curai punto di Eutemone, nè di Aristogitone, nè di Pitea, nè di Callimedonte, nè di Filippo allora, nè ora di Archia.» Poi soggiunse: «Non mi mettete le mani addosso: per cagion mia non sarà violato il tempio: pregherò questo iddio, e verrò da me.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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