Queste malinconiche distrazioni avevano per iscopo di educarlo a disimpegnare a dovere il suo servizio sacro in una vera chiesa, perchè a dieci o dodici anni gli toccò la rara ventura di rispondere tre o quattro messe al giorno, e già vecchio si ricordava che di nascosto beveva in un sorso il vino destinato a rappresentare il sangue di Gesù Cristo, e che al Confiteor un freddo sudore gli agghiacciava le membra, perchè non v’era caso che potesse impararlo a memoria. Rammentando questa sua disgraziuccia infantile in un crocchio d’amici, soggiungeva:
No steme a burlar,
Che ancora me sentoEl sangue giazzar,(4)
E ancora el Confiteor
Me mete in spavento,
E ancora, se tentoDe dirmelo a forte,
Suòri de morteMe bagna el frontin.(5)
La madre non lo lasciava uscire di casa manco per sogno, e abitualmente una volta per settimana, il Giovedì, al dopo pranzo, insieme a un pudibondo e ridicolo pedagogo, che rispondeva al nome di Don Patrizio. Francesco Negri, l’arguto novelliere ed il forbito traduttor d’Alcifrone, mosso a pietà di lui, lo sollevava soventi dalla noia del pedagogo, lo conduceva a passeggio, e lo dilettava con piacevoli ed istruttivi ragionamenti, come sembra accennato in quei versi:
Negri, allor di Pindo all’erto,
Mi guidava il passo incerto.
La signora Vittoria univa alla bigotteria un vero feticismo per i patrizi - difetto solito dei parvenus - e una curiosa passione per le anticaglie, e avrebbe voluto che i suoi figliuoli la imitassero; ma Pierino, benchè fosse ancora inesperto di storia naturale, cominciava già a morir dietro a tutti i freschi visi di fanciulla che vedeva, e sentiva che per uno di quei visi avrebbe dato volentieri tutti gli altarini del mondo.
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