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      I suoi guardi erano fissi sopra Agnese, torvi e sospettosi, come se cercassero a raffigurare un nemico. E continuò: «Voi fate conto forse, che perché io son qui rinchiusa, fuori del mondo, senza esperienza, mi si possa dare ad intender qualunque cosa. Povera donna! appunto perché son qui, sono men facile ad essere ingannata su certe materie. Certo, lo sposo che i parenti destinano ad una figlia è sempre un uomo compito, e il monastero dove la vogliono rinchiudere è così allegro! in così bella situazione! così tranquillo! è un paradiso! Poveretti! portano invidia alla loro figlia; vorrebbero anch'essi ritirarsi in quel porto di pace, ah! a far vita beata: ma... pur troppo sono legati nel mondo. Scusi il mio caldo, padre, ma ella sa meglio di me, almeno ella deve saper troppo bene come vanno queste cose, la menzogna la più imperterrita, la più persistente, la più solenne è quella che sta sul labbro di colui che vuole sagrificare i suoi figli, e far loro violenza. Questi sono i peccati, contra i quali si dovrebbe predicare: a costoro bisognerebbe minacciare l'inferno».
      A queste parole, la Signora, si pose a sedere tutta turbata, ed ognuno si sarebbe avveduto che un pensiero che i discorsi di Agnese avevan fatto nascere, dominava allora la sua mente, e che gli affari di Lucia non erano che un oggetto di considerazione secondaria.
      Agnese intanto rimproverava alla figlia che il suo non saper parlare le avesse tirata addosso questa tempesta, il guardiano voleva pure animar Lucia a parlare, ma questa animata già dalla circostanza, si avvicinò alla grata, e in tuono modesto, ma sicuro disse: «reverenda signora, quanto le ha detto la mia buona madre è la pura verità. Il giovane che mi parlava», e qui arrossò, «lo sposava io.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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