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      Certo una condotta simile in simili circostanze d'un tribunale della sanità ai nostri giorni ecciterebbe uno scandalo universale; o per meglio dire non vi sarebbe ora forse in Europa tribunale della sanità che operasse a quel modo.
      Ma - e qui appare il carattere singolare di quei tempi - non erano queste le accuse che gli uomini d'allora facevano al tribunale; lo accusavano, indovinate mò; di corrività, e di precipitazione, lo accusavano di credere pazzamente ad un male che non esisteva, di atterrire, di contristare, di tormentare con ordini inutilmente i cittadini. Dopo tante calamità, parlare anche di peste pareva un raffinamento di crudeltà; il popolo bene o mal vestito gridava ad una voce che quell'orrendo sospetto era una invenzione di alcuni medici per guadagnare sul pubblico terrore. Molti fra i medici stessi, facendo eco alla voce del popolo, la quale in questo caso - se è lecito fare una eccezione ad un proverbio - non era certamente voce di Dio, ridevano al nome di peste, attribuivano la mortalità ai disagj degli anni scorsi, ed avevano in pronto molti nomi per qualificare variamente gli accidenti di quel male nelle varie persone; quando qualche infermo, rimovendo tristamente la coltre, mostrava loro un tumore che gli dava da pensare, essi sogghignando gli domandavano se non aveva mai veduto foruncoli; quando si parlava di taluno estinto repentinamente, o dopo brevissimo languore, domandavano se non si erano mai conosciute apoplessie. Con una disposizione universale di questo genere, gli ordini del tribunale dovevano incontrare da per tutto ostacoli, resistenze, inesecuzione.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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