Il Gioja, costituitosi in ragioniere di tutte le scienze, fa loro i conti con una precisione, che non gli scappa mai la miseria di un quattrino: e può chiamarsi l’antesignano o quasi il padre di quella gloriosa plejade di filosofoni e di filosofini che posero tutto lo scibile e tutto lo imaginabile sotto al dominio dell’abbachino, riducendo a calcolo esattissimo ogni cosa che sia anche futile o assurda a calcolarsi. Per esempio, non basta loro di sapere quante oche, fino all’ultima, la Lombardia mangi in dicembre: ma sanno quante volte quelle oche agitarono orizzontalmente la coda, quasi insultandoci e dicendo: Siete fritti! e quante penne portava ogni coda, e quanti filamenti ogni penna. Sanno il numero dei cavalli, degli asini e dei muli di ciascuna parte dell’Impero, nè un’orecchia di più nè una gamba di meno: e che la tale provincia conta muli cinque! e se dopo varii anni sono diventati sei o quattro, è perchè ne sarà nato uno o morto un altro, o alcuno compromesso sarà fuggito in Isvizzera. Essi vi diranno, colla gravità di chi avesse scoperto la bussola o la locomotrice a vapore, quante libbre e quante oncie di marmo di Carrara entrino nello studio d’uno statuario in un decennio: con che si pesa fino all’ultimo grano tutto il genio dell’artista. Vi diranno quante migliaja di miglia quadrate si coprirebbero di carta, se tutti i fogli di tutti i libri della maggior biblioteca di Parigi si distendessero per terra, uno vicino all’altro: e voi subito esclamate: Oh che sterminata biblioteca!
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