Metaph., disp. v, sect. 3). Per le ragioni sopraddette, la volontà come cosa in sé sta fuor del dominio del principio di ragione in tutte le sue forme, ed è quindi assolutamente senza ragione, sebbene ogni sua manifestazione sia in tutto sottomessa al principio di ragione; sta fuori inoltre di ogni pluralità, sebbene le sue manifestazioni nel tempo e nello spazio siano innumerevoli. Ella è una, ma non com'è uno un oggetto, la cui unità può esser conosciuta solo in contrasto con la possibile pluralità; e nemmeno com'è uno un concetto, che è sorto dalla pluralità mediante astrazione: bensì è una in quanto sta fuori del tempo e dello spazio, fuori del principium individuationis, ossia della possibile pluralità. Solo quando tutto ciò ci sarà diventato intelligibile appieno, attraverso la seguente considerazione dei fenomeni e delle varie manifestazioni della volontà, comprenderemo interamente il senso della dottrina kantiana, per cui tempo, spazio e causalità non appartengono alla cosa in sé, ma sono semplici forme della conoscenza.
La mancanza di ragione nella volontà si è effettivamente conosciuta là, dov'essa si manifesta in modo più palese, come volontà dell'uomo; e la volontà fu detta libera, indipendente. Ma nello stesso tempo, appunto per codesta mancanza di ragione, si trascurò la necessità, a cui è sempre sottomesso il suo fenomeno: e gli atti furon dichiarati liberi, mentre non sono tali; perché ogni singolo atto proviene con stretta necessità dall'azione del motivo sul carattere.
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