Matteo aveva promessa sua figlia al figlio di Filippone; ma reso orgoglioso da più elevato parentado, gli aveva mancato di parola del 1302 dando alla figliuola un altro marito. Alberto Scotto trasse in seguito nella sua lega Antonio Fisigara, tiranno di Lodi, Corrado Rusca, tiranno di Como, Venturino Benzone, tiranno di Crema, la famiglia Cavalcabò, che aveva somma influenza in Cremona, quella de' Brusati che dominava in Novara, e l'altra degli Avvocati che aveva la stessa preponderanza in Vercelli. Per ultimo si unì alla lega il marchese Giovanni di Monferrato, che il Visconti aveva spogliato de' suoi stati.
I confederati adunarono la loro armata nella Ghiara d'Adda; e quelli della Torre, esiliati da Milano già da 25 anni, si affrettarono di unirsi alla lega, siccome altri molti nobili milanesi, segreti nemici di Matteo, il quale ne fece imprigionare molti altri sospetti di voler passare al campo nemico. Tra gli ultimi non risparmiò Matteo il proprio zio Pietro Visconti; indi uscì di Milano alla testa di una parte delle sue truppe, avendo lasciato in città il figliuolo Galeazzo con due mila uomini per contenere i Milanesi, che invece di secondarlo andavano gridando libertà188.
La ribellione non tardò a scoppiare in campagna; onde il Visconti circondato di nemici, e non vedendo giugnere i soccorsi che aveva domandati al marchese d'Este, accettò la mediazione di alcuni ambasciatori veneziani e si fece a trattare co' suoi nemici. Durissime erano le condizioni che gli venivano offerte: tutti gli esiliati dovevano essere richiamati; e Matteo, rinunciando al supremo potere, doveva rientrare nella classe de' semplici cittadini.
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