I Fiorentini, avutone sentore, cercarono di prevenirne l'arrivo; e sopra tutto volendo impedire che Bologna, dominata dai Bianchi, non si armasse in favore di Pistoja, mandarono ambasciatori, sotto pretesto di lagnarsi dell'assistenza che i Bolognesi davano ai loro nemici, ma in effetto per cercare di sollevare contro i Ghibellini, che avevano in mano il governo, il popolo che per antica abitudine era affezionato alla parte guelfa. Il cinque febbrajo riuscirono ad eccitare una prima sedizione che poi terminò con danno dei Guelfi; ma non perdettero coraggio. Si fece supporre al popolo che la città si fosse alleata coi Ghibellini di Lombardia, ed il popolo si riscaldò: il conte Tordino di Panico si pose alla sua testa, e, dopo un combattimento intorno al palazzo, furono esiliati tutti i Lambertazzi, atterrate le loro case, ed i Bianchi di Firenze, rifugiatisi in Bologna, costretti a cercarsi un altro asilo230.
Il cardinale degli Orsini o trovavasi in Bologna quando scoppiò la rivoluzione, o vi giunse poco dopo, a stento si sottrasse agl'insulti della plebe ch'erasi accorta della sua predilezione per i Ghibellini e per i Bianchi, e dovette ritirarsi precipitosamente ad Imola. Ma il cardinale, partendo, scomunicò Bologna, la privò della sua università, e colla bolla che pubblicò, fece che tutti i professori e gli scolari l'abbandonassero per recarsi a Padova231.
Nello stesso tempo i Fiorentini fecero entrare in Pistoja un monaco, incaricato d'offrire onorevoli condizioni agli assediati.
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