— Io ho moglie; — disse l’articolo registrato sotto il nome di John, d’anni trenta, posando la sua mano incatenata sopra le ginocchia di Tom — ed ella non sa niente di tutto ciò, povera creatura!
— Dove dimora? — domandò Tom.
— In un’osteria, a poche miglia di qui. Ah, s’io potessi rivederla un’altra volta, solamente in questo mondo! —
Povero John!
Era questo un desiderio ben naturale, e le lacrime scorrevano sulle sue guance nella medesima copia che se John fosse stato un bianco. Tom trasse un lungo sospiro e si provò, come meglio poteva, a mitigare l’afflizione di John.
Nella sala al disopra della loro testa stavano riuniti padri, madri, sorelle; graziosi fanciulli andavano e venivano intorno ad essi come altrettante farfallette. Oh, come in quel crocchio benedetto dalla fortuna la vita sembrava facile e dolce!
— Mamma, — disse un fanciulletto che ritornava dalla stiva — c’è a bordo un mercante di negri, ed io ho veduto laggiù tre o quattro schiavi ch’egli mena con sé.
— Poveretti! — disse la madre tra afflitta e sdegnata.
— Che c’è? — domandò un’altra signora.
— Poveri schiavi, che sono a bordo con noi, — rispose la madre.
— Che disonore per il nostro paese! — esclamò una terza interlocutrice.
— C’è molto da discutere, pro e contro, — disse una leggiadra signora la quale, seduta vicino alla porta della sala di mezzo, se ne stava cucendo, mentre due suoi figli le giocavano intorno. — Io sono stata nel Sud, e vi confesso che credo i negri molto più felici che se fossero liberi.
— Non voglio negar che ve ne siano taluni i quali sotto alcuni rispetti sono felici; — disse la signora alla quale la giovane madre aveva rivolto la parola — ma il più orribile nella schiavitù è, a parer mio, l’oltraggio che si fa ai sentimenti e agli affetti della natura; la separazione, per esempio, dei membri di una stessa famiglia.
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