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      Non che avesse pensato continuamente ad Angiolina, ma fra lui e il suo contorno v'era un velo che gli toglieva di veder chiaro. Una grande stanchezza gl'impediva tanto le speranze ardite, che di tratto in tratto aveva pur avute durante il pomeriggio, quanto le disperazioni violente che gli avevano dato il sollievo del pianto.
      A casa gli era parso di trovare tutto nello stato di prima. Soltanto il Balli aveva abbandonato il suo cantuccio ed era andato a sedere ai piedi del letto, accanto alla signora Elena. Guardò a lungo Amalia sperando di poter nuovamente piangere. L'analizzò, la scrutò, per sentire tutto il suo male e soffrire con lei. Poi guardo altrove vergognandosi; s'era accorto che nella ricerca di commozione era andato alla ricerca di immagini e di traslati. Gli capitò di nuovo il desiderio di fare qualche cosa e disse al Balli che lo lasciava libero, ringraziandolo per l'assistenza che gli aveva prestata.
      Ma il Balli, che non s'era neppure pensato di chiedergli come fosse andato il congedo da Angiolina, lo trasse in disparte per dirgli ch'egli non voleva andarsene. Pareva imbarazzato e triste. Aveva da dire ancora qualche cosa, e gli pareva tanto delicata che non osò senza un esordio di preparazione. Essi erano amici da molti anni e tutto il male che poteva toccare ad Emilio, egli lo sentiva come proprio. Poi, deciso, disse: – Quella poveretta mi nomina molto spesso; io resto. – Emilio gli strinse la mano senza provare una grande riconoscenza; già ora – egli ne era tanto certo da attingervi una grande tranquillità – per Amalia non v'era più alcun rimedio.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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