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Ferdinando II conosceva bene i sentimenti degli abruzzesi verso il suo regime. Egli aveva definito le tre Provincie: Chieti fedelissima (ad onta che Silvio Spaventa bastasse da solo a riassumere e glorificare il liberalismo di tutta una regione); Aquila ravveduta: Teramo.... oh! Teramo era la fucina della rivoluzione e dei rivoluzionari. Ferdinando la chiamava per dileggio «la Repubblica di S. Marino»! Doveva parergli veramente strano che fossero tanti i suoi nemici in una piccola città di quattordici o quindicimila anime. Nel 1859 nelle anticamere dell'aula della Gran Corte criminale pendeva ancora un quadro contenente una lunga lista di condannati in contumacia per reati politici, condannati appartenenti alle famiglie della città e della provincia, senza contare quelli rinchiusi nelle carceri, ai quali ogni domenica Don Carlemiddio vecchio prete più amico di Bacco che dell'alfabeto andava a fare il sermone per convertirli. Come tutti gli ignoranti del tempo, compreso il Re dei lazzaroni, repubblicano era sinonimo di liberale, eppure l'Italia aveva già da un pezzo l'esempio di un regime di libertà nella monarchia piemontese. L'argomento principe delle prediche di Don Carlemiddio era questo: voi volete la repubblica, ma per farla ci vogliono quattrini; — voi dei quattrini non ne avete, dunque smettetela. |