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Una lettera da Napoli a Teramo impiegava, se le cose andavano bene, otto giorni; ma d'inverno, quando le nevi e i lupi coprivano il famoso piano di cinque miglia, la settimana dell'isolamento nostro dalla capitale si raddoppiava e poteva triplicarsi. Non più facili erano le comunicazioni tra un Abruzzo e l'altro e tra l'uno e l'altro paese della stessa provincia. Ma lo zelo e la diligenza del monarca che regnava in nome della divina provvidenza, così avara matrigna, a noi sovrabbondava nella sorveglianza politica e si estendeva fino al pensiero riposto, non manifestato, non espresso. É vero però che per questa indagine ai mezzi ordinari e comuni di espressione l'industre polizia ne aveva aggiunti altri: — per esempio, quello del pelo: bastava farsi crescere la barba per essere designato come un carbonaro un rivoluzionario un liberale!
I miei ricordi — o questi frammenti di ricordi — vanno al 1859. Dal 1849, memorabile per lo spergiuro di Re Bomba (3) e la reazione che lo seguì, mi è rimasta qualche impressione di ciò che mi cadeva sott'occhi: — le risse dei soldati tra loro, specialmente tra napoletani e siciliani; le aggressioni nelle pubbliche vie e in pieno meriggio di soldati bianchi che si lanciavano contro cittadini inermi sfogando il loro istinto di brutale malvagità e suscitando panico nella popolazione che fuggiva e si barricava nelle case per salvarle dal saccheggio... Ma una impressione conservo sopra a tutte vivissima: quella prodottami dalla vista di una dozzina di signori ammanettati e legati a due a due come ladri; che la mattina passavano sotto le finestre di casa mia tra gendarmi. Andavano alla gran Corte criminale. Perché? l'età non mi consentiva di comprenderlo; ma mi pareva impossibile che quello potesse essere un trattamento giusto per galantuomini, appartenenti a famiglie distinte (erano tra essi amici nostri), stimati da tutti per uomini dabbene incapaci di qualunque reato. (3) In seguito alla rivoluzione siciliana del 1848 che portò alla proclamazione del nuovo Regno di Sicilia, l'esercito borbonico comandato dal generale Luigi Nicola De Majo, in ritirata, bombardò le città di Palermo e Messina provocando centinaia di morti, gesto che costò all'imperatore Ferdinando II di Borbone l'appellativo di Re Bomba. |