Il colonnello Materazzo chiese una scorta ai Cacciatori del Gran Sasso. Furono scelti a comporla, tra i molti che si offersero, quaranta volontarii dei più risoluti, ai quali non pareva vero di poter giungere primi al campo di Garibaldi. A questi militi si unirono Savino Tripoti (figlio di Antonio) capitano della prima compagnia ed altri de' più animosi ufficiali del battaglione così che il colonnello si vide circondato di un brillante stato maggiore. Rammento tra questi ufficiali Schettino ex-alfiere borbonico arruolato al nostro battaglione col grado di tenente: robusto come un Ercole, coraggioso come un leone e sopratutto un lanciatore di bestemmie nuove e così atroci da squarciare le stelle.
Non essendo possibile il valico del Macerone dovemmo arrampicarci sulle montagne a sinistra. Marcia lunga e penosa per sentieri erti, impervii, seminati di sassi pungenti e inevitabili per l'oscurità della notte che ci aveva raggiunti pria che toccassimo la vetta della montagna. La marcia fu solo interrotta da qualche breve sosta per assumere informazioni da contadini e pastori sulle condizioni dei luoghi. Eravamo usciti dai sassi e fatto abbastanza cammino su di una strada rotabile, quando fu comandato alt!... e riposo.
Che era accaduto? Il colonnello Materazzo circondato dagli ufficiali, teneva consiglio. I militi s'erano sdraiati sul prato costeggiante la strada. Qualcuno invidiato possidente di un mozzicone di sigaro si accingeva ad accenderlo, ma il fiammifero gli rimane spento tra le dita dallo scroscio di una grossa bestemmia del tenente Schettino. «Non sapete — egli aggiungeva — che siamo a pochi passi dal nemico?»
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