CUMBRES 76 - Sierra Nevada di S. Marta, 20 dicembre 1975 - 20 gennaio 1976. Ottocentosessanta chilogrammi fra viveri e materiali, otto alpinisti, un fotografo, un biologo: 24 dicembre.
Ecco la nostra spedizione superleggera alla Sierra Nevada di S. Maria, il primo importante nodo montuoso delle Ande che sorge a II° di latitudine nord in territorio colombiano.
Girano le ruote delle camionette, arrancano sulla 'carrettera', guadando torrenti impetuosi, affrontano ripide balze schizzando melma da tutte le parti. Gli autisti, tipici avventurieri di questo tropico, fanno miracoli di abilità. Siamo sulla Sierra che qui chiamano Serrania, mentre quella alta, la nostra meta, semplicemente la Nevada.
Una pioggia torrenziale a 5 km, da Pueblo Bejo blocca le land rover. Le ruote slittano sulla strada ormai divenuta un pantano.
Scaricano i nostri bagagli senza molta esitazione, non c'è niente da fare, girano le land e prendono la strada per Valledupar lasciandoci in mezzo, al fango al nostro destino.
Passano le ore e la pioggia si calma, un camion carico di mercanzie varie dopo una trattativa piuttosto lunga ci porta in salvo a Pueblo Bejo, un paese meraviglioso che fa onore al suo nome, ci accoglie con il profumo dei suoi oleandri.
La notte alloggiamo in uno pseudo albergo, è la notte di Natale, assistiamo in chiesa ad un matrimonio davvero singolare.
Proseguiamo il mattino a piedi per S. Sebastian de Rabago (1800 m) l'unica macchina a disposizione nel paese, un gaz russo porta lutto il bagaglio a S. Sebastian, altro meraviglioso 'pueblo', racchiuso in un ombroso bosco di pini e di eucaliptus.
Abbiamo la sfortuna di giungere al pueblo proprio quando era in pieno svolgimento un congresso di indios Arhuacos, in agitazione. Sono in contrasto con il governatore della regione in quanto questi non ha accettato certe loro proposte.
Gli Arhuacos hanno una certa avversione per l'uomo bianco, che nel loro idioma chiamarlo 'bunac'i'. Quando qualche pestilenza colpisce le loro popolazioni, essi affermano che è stato il 'bunac'i' a portarla e che quando vivevano soli nella loro terra, non furono mai toccati da simile malattia. In generale però sono di ìndole buona, attivi agricoltori, capaci costruttori di canali per irrigazioni e caratteristiche abitazioni, amano la natura e la rispettano coma una divinità.
La riuscita della nostra spedizione è compromessa, giriamo avviliti per il pueblo in cerca di non so quale santo che ci possa aiutare ad uscire dalla nostra situazione.
Ad aprire le ostilità con gli indios è stato uno dei nostri amici che ha scaricato addosso a un gruppo una decina di foto, dimenticando la loro avversione per la macchina da ripresa.
Dopo una lunga discussione avuta con i capi, questi hanno negato categoricamente il permesso di accesso alle montagne, nonchè la disponibilità dei muli a noi necessari per il trasporto del materiale.
All'imbrunire arriva al pueblo un indios a cavallo ci dice che la sua comunità si dice disponibile per il trasporto dei materiali alla Nevada.
Siamo molto scettici in merito anche perchè Efrain, questo il nome dell'indios si reggeva sul cavallo a mala pena, per effetto della bottiglia di aguardiente semivuota che continuava ad ondeggiare mentre parlava.
Comunque ci decidiamo a seguirlo visto che non c'erano alternative, ed il giorno dopo alle dieci del mattino si presenta al nostro campo con otto mule, un asino ed un bue da traino.
Sei ore di marcia e nel tardo pomeriggio poniamo le tende ad Adorimeina (2700 m) una conca erbosa dove pascolano liberamente centinaia di capi di bestiame. Il giorno seguente, elevandoci sempre più, la vegetazione d'alto fusto scompare, solo resistono i seneci che qui chiamano frailejon. Al balcon de bellavista (3900 m), ci appaiono ancora lontani i picchi ghiacciati della Nevada, svettanti in un cielo limpidissimo. Alziamo le tende a Mamankanaka, dove in caratteristiche capanne vivono con poco i familiari di Efrain, ma con serenità.
Efrain da quando siamo partiti non ha toccato un goccio di aguardiente, solo nelle soste mastica della coca.
Alle 14,30 dei 29 dicembre siamo ai campo base (4000 m) sulle rive di uno dei tantissimi laghetti della Sierra Nevada.
Gli arrieri Efrain, Antonio e gli altri se ne vanno con le loro mule augurandoci buona suerte e buon anno, dai loro sguardi traspare una sorta di compatimento; certamente ci considerano piuttosto tocchi. Partirsene dall'Italia per venire in un posto così isolato al fine di scalare una montagna per loro è cosa inconcepibile; meglio sarebbe spassarsela con decine di bevute di aguardiente.
'Una spedizione si dice leggera quando diventa pesante per i componenti', l'ho letto da qualche parte e lo constato durante il giorno di trasferimento al lago Mamo.
Il gruppo dopo una giornata di ricognizione decide de dividersi in due parti.
Fraschetti, Moro, Kulcsiski Stefanoli, Monti vanno al campo base avanzato sul lago Mamo a da qui tenteranno le salite al Pico Cristobal Colon (5887 m) al Pico Bolivar (5775 m) e se possibile la Reina (5535 m).
Venturini, Ferrame, Cavallaro, Zampetti e Iannetti rimangono al Campo base per tentare la salita per Tairona (5030 m) e Guardian (5285 m).
Tra il 1° gennaio ed il 10 gennaio tutte le salite in programma sono effettuate dai gruppi, inoltre viene realizzato il documentario a 16 mm sulla Sterra Nevada, unica documentazione cinematografica tuttora realizzata.
Alla buona e senza tanti mezzi e con pochissimi viveri (da premettere che durante la marcia di avvicinamento ci è stata gentilmente sottratta da qualche buon indios una cassa contenente zucchero, carne in scatola e tonno, nonchè due corde ed altro materiale minuto) abbiamo salito la cresta sud del Pico Cristobal Colon, la parete sud del Bolivar, la parete est della Reina, la cresta ovest del Tairona, la cresta ovest e la cresta SE del Guardian con la discesa dalla parete sud. Le ultime due salite sono state fatte parallelamente ad una cordata di due americani che sono arrivati il giorno 8 gennaio al nostro campo base e si sono aggregati al nostro gruppo.
Il giorno 10 gennaio, è da tre giorni che abbiamo finito i viveri, si va avanti con latte in polvere, thè, caffè, riso asciutto senza nessun condimento, arrivano le mule.
Discesa precipitosa verso Mamankanaka dove ci attende un cordero, 'abbacchio' sulla brace.
Ci vuol poco per fare dell'alpinismo extra-europeo a discreto livello, il più delle volte basta stringere i denti.
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