Vogliamo credere che il benigno lettore non abbia in dispregio le nostre elucubrazioni critiche: però nel caso dei Compagnacci trattandosi di un'opera uscita da una solenne gara indetta dal Governo d'Italia, crediamo che, prima di esprimere giudizi sul libretto e sulla musica, convenga dire delle accoglienze fatte dal pubblico al nuovo lavoro e fissare il ricordo del sontuoso battesimo d'arte.
Ai Compagnacci la fortuna ha arriso in modo così tumultuoso, che la rappresentazione di iersera ha avuto un carattere di cerimoniale dionisiaco in onore degli autori dell'opera, cioè dell'abruzzese maestro Riccitelli e del toscanissimo Gioacchino Forzano. Un successo, più che clamoroso, delirante, del quale il simpatico musicista - essendo assente il poeta commediografo - ha dovuto, tutto solo, sopportare il dolce peso. E davvero, il Riccitelli, tra lo smaniare del pubblico acceso di sacro entusiasmo, appariva spaurito e stralunato. Spinto dai suoi egli veniva alla ribalta e guardava intorno a sè, senza sorridere, inchinandosi a pena, e pareva torturato dal pensiero che potesse esserci un errore da parte del pubblico. "Sono proprio per me questi applausi? E' scherzo od è follia? Mi si vuol prendere in giro per farmi poi morire di crepacuore? Oh Dio, se non la smettono, mi viene un capogiro, ruzzolo dal palcoscenico nell'orchestra e vado a cadere tra il professore di fagotto a quello di ciarone...". Intanto, il maestro, con la mano febbrile, cercava l'apertura del sipario - che gli amici avevano chiuso dietro di lui, per lasciarlo solo dinanzi al pubblico - desideroso di squagliarsela a precipizio e di correre sino alla cima della Majella per trovare pace, tra le nevi invernali non ancora disciolte, e riordinare alla meglio i propri pensieri...
Naturalmente il pubblico, vedendo il Riccitelli così esitante, così modesto, così deliziosamente ingenuo, si sentiva sempre più preso di simpatia per lui: le chiamate si moltiplicavano a precipizio. Quante volte il musicista dei Compagnacci ha dovuto esibirsi alla folla acclamante? Una dozzina di volte, almeno, ma forse anche quindici. Negli ultimi tempi, soltanto il Mascagni, dopo il duetto d'amore del Piccolo Marat, era stato gratificato di una simile orgia di applausi. Non occorre aggiungere altro...
La strepitosa vittoria dei Compagnacci ha un duplice valore: prima di tutto, serve a consacrare il talento di un operista che, per un complesso di ragioni penose, ha dovuto languire a lungo nell'ombra ingrata: poi - e questo, secondo noi, ha un'importanza suprema - dimostra quanto bene possa derivare alla nostra musica teatrale dall'istituzione del concorso lirico del Sottosegretariato di Stato per le Belle Arti. Si è sempre detto tanto male dei concorsi in genere e di quelli musicali in ispecie, che la cosa deve essere chiaramente rilevata. Questo concorso lirico governativo, che fu promosso con fervore entusiastico, dall'onorevole Rosadi e che poi ha trovato nell'onorevole Siciliani un convinto propugnatore, sembra davvero un'istituzione dalla quale i giovani musicisti abbiano grandemente a sperare. Se ne osservino infatti, i primi effetti. L'anno scorso sono state premiate quattro opere in un atto: La Fiamminga del Donaudy, la Monacella della fontana del Mulè, Il Principe e Nuredda del Bianchini e i Compagnacci del Riccitelli: ebbene, tutte e quattro hanno incontrato un lieto successo, anzi, nel caso di questi Compagnacci, il successo è stato decisamente trionfale. Si sfata, al fine, la leggenda che i concorsi siano inutili o poco concludenti, leggenda in gran parte fondata su di un antico malinteso del pubblico e dei critici scioccherelli i quali, dopo la Cavalleria rusticana, avrebbero preteso di vedere uscire da ogni concorso musicale un capolavoro sfavillante di genialità. Pretesa vana e perniciosa. I concorsi debbono soltanto servire a mettere in luce i giovani d'ingegno: se poi esce dalla gara un'opera addirittura splendida, tanto meglio. Si griderà alleluja! e... si imporrà al nuovo genio di scrivere tutta una serie di miracolose partiture, mettendolo in condizioni poco meno che disperate (il caso Mascagni informi!). Ma si tenga ben presente che di Cavallerie rusticane non se ne scrivono ogni giorno e neppure ogni dieci anni e che quando da un concorso emerge un'opera come i Compagnacci, si ha, se non l'obbligo, il diritto di sparare salve di mortaretti in segno di esultanza.
I Compagnacci meritano la simpatia più affettuosa. Non diremo che la commedia musicale del maestro Riccitelli segni, come il Gianni Schicchi di Puccini, una data memorabile nella storia del melodramma italiano contemporaneo, ma riteniamo che questa produzione dell'ancor giovane operista abruzzese abbia elementi di sana bellezza e non debba spegnersi dopo una breve giornata di festa, come quelle farfalle che nascono al bacio del sole estivo, per subito morire non appena scende il crepuscolo. La vitalità dei Compagnacci sembra che tanto di giovanilmente brioso che v'ha nella musica e per la freschezza incantevole del libretto di Gioacchino Forzano.
Il nostro buon Forzano, quando si trova a diporto nella vetusta Firenze, si inebria e diventa più che mai fertile d'idee e malizioso. Col Gianni Schicchi egli ci aveva dato un saggio ammirabile del suo talento di autore comico e di sapiente evocatore della vita fiorentina dei tempi di Dante: ora, con i Compagnacci, che si svolgono in un'epoca di poco meno remota e ci recano grida carnascialesche, salmodie di frati ed echi di ballate del Magnifico, un nuovo quadro lepido e garbato ci viene offerto: un quadro in cui è l'anima dell'antica città toscana e in cui brulicano figure caratteristiche, straordinariamente amabili.
Abbiamo ieri narrato, con particolare diffusione, l'argomento di questi Compagnacci e immaginiamo, pertanto, che il lettore orami conosca a perfezione la trame del libretto del Forzano. Trama semplice, ma consistente; favola d'amore fantasiosa e piena di gusto, proiettata su di uno sfondo storico attraentissimo. Un collega nostro, emerito studioso di discipline storiche ed umanistiche, obiettava, iersera, che il Forzano aveva troppo audacemente parodiato il famoso "giudizio di Dio" del 7 aprile 1498, voltando in lepidezza ciò che fu una vera tragedia, poichè in quel giorno vennero decise le sorti del Savonarola che, come tutti sanno, per non aver osato affrontare la prova del fuoco, perdette fulmineamente il favore del popolo fiorentino e venne, poi, messo in carcere, torturato ed arso vivo. La critica del saggio collega non può essere confutata. Però, per conto nostro, assolviamo di gran cuore il Forzano del piccolo delitto commesso nel falsare il significato storico dell'avvenimento. Quand on viole l'histoire il faut lui faire un enfant. Ebbene, il librettista dei Compagnacci, usando una tal quale violenza alla storia ha dato vita a un rampollo che sgambetta imperiosamente. Accogliamo il rampollo e invitiamo i nostri amici a mandargli, di lontano, un bacio sonoro...
In un solo atto, che fluisce garrulo e lieve - come l'onda della Sieve - il Forzano è riuscito a disegnare con segni incisi alcuni personaggi umoristici - Bernardo, Noferi, Venanzio - e a dare giusta espansione ai colloqui amorosi di Anna Maria e Baldo. Ci sono poi trovate sceniche di ottimo effetto: ad esempio la discesa dei Compagnacci dalla cappa del camino e, meglio ancora, la successiva irruzione di questi diavoli giocondi dagli armadi e dalle cassapanche, tra lo scompiglio dei piagnoni miserevoli. E, sebbene la scena del "giudizio di Dio" si svolga lungi dagli occhi dello spettatore, essa vien raccontata, nelle sue singole fasi, con tanta evidenza, che l'inconveniente non apparisce sensibile. Un libretto, dunque, indovinato e - a parte le generiche somiglianze con il Gianni Schicchi - molto originale. Il maestro Riccitelli ha saputo scegliere bene il canovaccio su cui disporre i suoi ricami musicali, e ciò torna a suo massimo vanto.
Quanto alla musica, presa per sè, bisogna nettamente distinguere quella di sapore giocoso da quella di carattere sentimentale. La prima - che per ventura sovrabbonda - rivela pregi multipli di ispirazione, finezza e vivacità ritmica: la seconda, invece, pecca d'enfasi e tradisce chiare derivazioni da noti modelli. Il maestro Riccitelli ha la virtù di saper ridere con arguzia signorile ed oggi che i giovani maestri piangono - di regola - come agnelli legati a un palo, la cosa sorprende gradevolmente. Nei Compagnacci si possono notare a decine le pagine che scintillano di una vis comica genuina. Si torna allo stile dei vecchi maestri italici genialmente ridanciani, ma senza alcuna imitazione. Se volessimo citare, ad uno ad uno, tutti i brani della partitura che fervono di schietto buon umore, andremmo per le lunghe. Tuttavia, ci parrebbe colpa non accennare al frizzante racconto della fantesca, all'irresistibile dichiarazione a'amore che Neferi, re dei tangheri, sciorino alla infelice Anna Maria:
Alle Carniole ci son tanti prati
con tante pecorelle che fan bèè;
cantano gli uccellini fidanzati
e canterà Ceccone insieme a te!
Così è dover nostro citare con alto plauso, lo spigliato canto di Baldo "Ma quando i frati saranno in piazza..." e quello di Bernardo "Baldo, se penso che fra un istante - sarai ridotto alla miseria..." in cui c'è tanto spirito da accendere di gaiezza anche un malato di ipocondria. Ancora: la scena in cui Bernardo e Venanzio tentano di convincere Anna Maria a sposarsi con Neferi e, per raggiungere l'intento, fanno alla donzella un quadro raccapricciante delle pene cui ella andrebbe soggetta nell'altra vita se legasse il suo destino al miscredente Baldo, questa scena - lo affermiamo in modo esplicito - basta a far classificare il Riccitelli tra gli operisti di maggiore ingegno dell'ora presente.
Con altrettanta sincerità, diremo che la parte lirica dell'opera non ci incanta. Quando prende a melodiare in tono amoroso il Riccitelli perde la sua semplicità, per lo più, dall'Isabeau di Mascagni. Le due romanze di Anna Maria (vivere con un uomo che non s'ama... e Baldo, Baldo, mi lasci sola sola...) noncheè in gran parte, il duetto d'amore, sono costellati di reminescenze mascagnane e sovente l'ardore degenera in enfasi retorica. E' un peccato: senza queste mende i Compagnacci sarebbero un'opera egregia. Comunque, ciò che per il critico è un difetto, non lo è per il pubblico, il quale si astiene dal vagliare gli elementi costitutivi di una nuova musica. Di fatti, iersera, la grande aria di Anna Maria e il duetto - che si conclude con un fastoso a due - hanno riscosso battimani assordanti.
Concludendo: al maestro Riccitelli va gridato un bravo! di cuore, perché, con questi Compagnacci ha saputo affermarsi autore teatrale di abilità sopraffina, e melodista di calda italianità. I meriti dell'opera sono tali, da indurre il critico più severo a non dare soverchia importanza a ciò che v'ha nella musica di impuro e caduco. Si esce giulivi dall'audizione dei Compagnacci e si prova il desiderio impellente di porgere al maestro abruzzese un omaggio di ammirazione per il suo garbo nello scrivere musica burlesca; si formula altresì l'augurio che egli persegua per la buona via e doni all'arte nostra altre opere ricche di humour e tutte sincere. Il Riccitelli può cooperare con bella energia alla rinascita della gloriosa commedia lirica italiana: che egli sfugga alle lusinghe del dramma passionale e continui a ridere limpidamente e con dignità perfetta, come in questi Compagnacci. Abbiamo fatto, negli ultimi anni, troppe indigestioni di lamenti, singhiozzi e sospiri e aneliamo a liberarci del manto di tristezza che avvolge e rende prigioniera l'anima nostra.
Dell'impressionante successo dell'opera, abbiamo già parlato: resta perciò soltanto da aggiungere qualche parola sull'interpretazione che, diciamolo subito, è stata giudicata con estremo favore da tutto il pubblico.
La signorina Ofelia Parisini ha dovuto duramente lottare per non soggiacere alle asperità della sua parte, ma è riuscita a superare ogni pericolo e a conquistarsi applausi lusinghieri. Pieno di slancio e di fierezza il tenore Antonio Cortis, i cui acuti squillanti hanno dominato senza fatica l'orchestra. Il personaggio di Bernardo ha avuto nel baritono Tamino Parvis un animatore sagace e possente: l'insigne cantante-attore si è meritato complimenti entusiastici: altrettanto ingegnoso e sicuro il tenore Nardi un "Neferi dalle Corniole" di inesprimibile comicità. La rugiadosa dichiarazione d'amore di questo piagnone ha fatto sbellicare dalle risa l'uditorio. Molto apprezzato il De Vecchi "Venanzio", corretto e intensamente espressivo; briosa "fantesca" la Bertolasi, che ha una voce di ottimo timbro; a posto tutti gli altri. Giuoco scenico regolato con arte e massa in iscena degna di elogio. Doviziosi i costumi, specialmente quelli dei compagnacci. L'orchestra, diretta dal maestro Gabriele Santini è stata parte viva dello spettacolo; alla fine dell'opera, il Santini - che si era prodigato senza risparmio e con il migliore risultato - è apparso ripetutamente al proscenio.
La seconda dei Compagnacci avrà luogo domani giovedì. L'opera del Riccitelli verrà seguita dalla vibrante Grazia del Michetti.
Albert Gasco
|