Che 'l suo fratello era uom che mosso il piede
Mai non avea di Roma alla sua vita,
Che, del ben che fortuna gli concede,
Tranquilla e senz'affanni avea notrita;
La roba di che 'l padre il lasciò erede,
Né mai cresciuta avea né minuita;
E che parrebbe a lui Pavia lontana
Più che non parria a un altro ire alla Tana.
E la difficoltà sana maggiore
A poterlo spiccar dalla mogliere,
Con cui legato era di tanto amore,
Che non volendo lei, non può volere.
Pur, per ubbidir lui che gli è signore,
Disse d'andare e fare oltre il potere.
Giunse il re a' prieghi tali offerte e doni,
Che di negar non gli lasciò ragioni.
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
Dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che 'l fratel mosse
Si, ch'a venire al re gli persuase:
E fece ancor (benché difficil fosse)
Che la cognata tacita rimase,
Proponendole il ben che n'usciria,
Oltre ch'obbligo sempre egli l'avria.
Fisse Giocondo alla partita il giorno:
Trovò cavalli e servitori intanto;
Vesti fe' far per comparire adorno;
Ché talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato e 'l dì la moglie intorno,
Con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
Gli dice che non sa come patire
Potrà tal lontananza, e non morire;
Ché pensandovi sol, dalla radice
Sveller si sente il cor nel lato manco.
Deh, vita mia, non piagnere, le dice
Giocondo: e seco piagne egli non manco.
Così mi sia questo cammin felice,
Come tornar vo' fra duo mesi almanco:
Né mi faria passar d'un giorno il segno,
Se mi donasse il re mezzo il suo regno.
Né la donna per ciò si niconforta:
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