Opere di letteratura italiana e straniera |
A costui, lasciandolo allo albergo, aveva frate Cipolla comandato che ben guardasse che alcuna persona non toccasse le cose sue, e spezialmente le sue bisacce, per ciò che in quelle erano le cose sacre. Ma Guccio Imbratta, il quale era più vago di stare in cucina che sopra i verdi rami l'usignolo, e massimamente se fante vi sentiva niuna, avendone in quella dell'oste una veduta grassa e grossa e piccola e malfatta, con un paio di poppe che parevan due ceston da letame e con un viso che parea de' Baronci, tutta sudata e affumicata, non altramenti che si gitta l'avoltoio alla carogna, lasciata la camera di frate Cipolla aperta e tutte le sue cose in abbandono, là si calò; e ancora che d'agosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominciò con costei, che Nuta aveva nome, ad entrare in parole e dirle che egli era gentile uomo per procuratore e che egli aveva de' fiorini più di millantanove, senza quegli che egli aveva a dare altrui, che erano anzi più che meno, e che egli sapeva tante cose fare e dire, che domine pure unquanche. E senza riguardare ad un suo cappuccio sopra il quale era tanto untume che avrebbe condito il calderon d'Altopascio, e ad un suo farsetto rotto e ripezzato, e intorno al collo e sotto le ditella smaltato di sudiciume, con più macchie e di più colori che mai drappi fossero tartareschi o indiani, e alle sue scarpette tutte rotte e alle calze sdrucite, le disse, quasi stato fosse il Siri di Castiglione, che rivestir la voleva e rimetterla in arnese e trarla di quella cattività di star con altrui, e senza gran possession d'avere, ridurla in isperanza di miglior fortuna, e altre cose assai; le quali quantunque molto affettuosamente le dicesse, tutte in vento convertite, come le più delle sue imprese facevano, tornarono in niente. Trovarono adunque i due giovani Guccio Porco intorno alla Nuta occupato; della qual cosa contenti, per ciò che mezza la lor fatica era cessata, non contradicendolo alcuno, nella camera di frate Cipolla, la quale aperta trovarono, entrati, la prima cosa che venne lor presa per cercare fu la bisaccia nella quale era la penna; la quale aperta, trovarono, in un gran viluppo di zendado fasciata, una piccola cassettina, la quale aperta, trovarono in essa una penna di quelle della coda d'un pappagallo, la quale avvisarono dovere essere quella che egli promessa avea di mostrare a' certaldesi. E certo egli il poteva a quei tempi leggiermente far credere, per ciò che ancora non erano le morbidezze d'Egitto, se non in piccola quantità, trapassate in Toscana, come poi in grandissima copia, con disfacimento di tutta Italia, son trapassate: e dove che ebbe poco conosciute fossero, in quella contrada quasi in niente erano dagli abitanti sapute; anzi, durandovi ancora la rozza onestà degli antichi, non che veduti avesser pappagalli, ma di gran lunga la maggior parte mai uditi non gli avean ricordare. Contenti adunque i giovani d'aver la penna trovata, quella tolsero, e, per non lasciare la cassetta vota, vedendo carboni in un canto della camera, di quegli la cassetta empierono; e richiusala, e ogni cosa racconcia come trovata avevano, senza essere stati veduti, lieti se ne vennero con la penna e cominciarono ad aspettare quello che frate Cipolla, in luogo della penna trovando carboni, dovesse dire.
|