NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Tanto era vario il romore e così orrendo lo strepito che in quella camera rimbombava, che se fosse tuonato come quando più iratamente il cielo con focosi lampi folgorando tuona, là dentro nulla si sarebbe sentito. Furono a lo sventurato giovine con fregamenti e con spruzzargli acqua fresca nel viso e con altri argomenti fatti ritornar gli smarriti spiriti, Il quale come in sé rivenne, dopo l'essersi estremamente doluto e lamentato e senza fine pianto, domandò ove fosse il marito di sua sorella. Il castellano, che era quivi, impensatamente gli disse che il signore era partito a cavallo, armato, con tre servidori molto in fretta, ma che a qual banda fosse cavalcato né per qual cagione, non sapeva. Il giovine senza altro più innanzi considerare tenne per fermo che il marito fosse stato quello che avesse la moglie col picciolo fanciullino uccisi, e che per misfatto se ne fosse fuggito. Il perché fatti montar a cavallo dui suoi servidori che erano venuti seco, ed egli con loro a cavallo salito, uscì del castello e a quel camino andò ove credeva il barone andato. E come volle la mala fortuna sua, che di maggior numero di morti voleva accrescer la tragedia, si mise a punto per quella strada a cavalcare per la quale il cavaliero a casa ritornava; che avendo egli tutti quei confini indarno cercati e non ritrovato il frate, tutto di mala voglia e sovra ogni credenza dolente, passo passo e a quanto era a la moglie occorso pensando, verso il castello cavalcava. Non era guari andato il fratello de la donna che s'accorse che il barone era quello che a l'incontro gli veniva. E ancor che fosse oscuro, pur l'alba cominciava a farsi bianca, imperò che già i raggi del nascente sole le facevano sparire quelle belle e graziose varietà di colori che così vagamente innanzi a l'appanir del sole la dipingono. Onde tantosto che il cognato incontrò, con minaccevol voce disse: - Ahi disleale e traditore, tu sei morto! - E senza indugio, gonfio di stizza e di colera inestimabile pieno, se gli avventò a dosso e cominciò a giuocar di buone stoccate. Era il cavaliero normando ben armato ed uomo molto forte, il quale veggendosi in quell'ora a quel modo dal cognato assalito, insieme col riparare le percosse, gli chiedeva amorevolmente la cagione di tanto furore. Ma il giovine, ebro d'ira e di doglia de la morte de la sirocchia e volontaroso di vendicarla, non intendeva cosa che il cognato dicesse, ma con ogni sforzo cercava di ammazzarlo. Già aveva il barone comandato ai tre suoi servidoni che s'era fatti innanzi con l'armi d'asta, che per quanto avevano cara la grazia sua che non ferissero suo cognato né i compagni, ma gli facessero star indietro, perciò che egli voleva pur intender da lui la cagione di questo assalimento. Ma per cosa che dicesse, mai il cognato altra risposta non gli diede: solo attendeva a ferirlo a la meglio e a la più dritta che poteva.


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