Civile
onoratissima e di origine bolognese antica è la famiglia dei Muzzi. Giuseppe
bisavo
sul principio del Settecento lasciò Bologna
e colla moglie ritirossi
a vivere nella quiete oscura e parsimoniosa dell'Appennino lojanese
ove possedeva alquanto di terreno
boscaglie
pascoli e una casetta. Ma
lui morto
la vedova coi tre orfani rimpatriò. Dei quali Giacomo
allogatosi nella fabbrica di majoliche a Porta San Vitale
palesò di buon'ora ingegno attissimo alle applicazioni scientifiche
tal chè
rimasto proto dell'officina
con gli studj e la diligenza ne condusse i prodotti a perfezione fino allora sconosciuta. Uomini chiari nelle scienze naturali
quali il Ranzani
lo Zanelli
il Coli
il Molina e Giacomo Rossi scultore
erano i suoi amici
e perciò i bei trovati ebbero presto divulgazione e credito nell'universale. Invogliossi allora il conte Carlo Filippo Aldrovandi
buono e munifico
di far dono alla patria di una nuova industria
quella della terraglia. Giacomo Muzzi ne fu il direttore
e a breve andare delle due fabbriche se ne fece una sola
la quale
venuta d'una in altra mano
fiorisce tuttora
e deve al Muzzi i primi impulsi e i maggiori incrementi.
A questo Giacomo fu non dissimil figliuolo Giuseppe. Anche la costui vita civile e famigliare è un modello. Scelto nel 1818 maestro comunale di Zola Predosa
vi rimase fino al 1819; sei anni sventuratissimi
essendo che quella povera popolazione fu percossa dai flagelli
che l'esperienza presenta sempre atterzati
si che ne corre il proverbio; la guerra
la fame
la peste. Per la caduta di Napoleone e la mal compiuta impresa di Gioacchino partiti i Francesi
il paese fu corso e ricorso dai Napoletani e dagli Austriaci
e tale si diffuse uno spavento per tutto
che gli Amministratori del Municipio di Zola si dileguarono
e il Maestro di scuola
rimasta solo
dovette lui provvedere la soldatesca di vettovaglie e di alloggiamenti. Usciti di così gran distretta
eccoti in prima scarsità di raccolti
e
l'anno seguente
la carestia. Le più orribili forme della morte
causata dall'inedia e dai patimenti
vidersi allora lunghesso le vie
mentre i sopravissuti vagavano qua e là
mendicando i rilievi delle altrui mense. E quasi ciò non bastasse
l'anno 1818 fu apportatore del tifo. Cadevano per l'Italia le vite a migliaia. Il Maestro di Zola Predosa nell'una e nell'altra sciagura non chiuse la scuola
non cessò di lenire come poteva le sofferenze
non ismise nulla della consueta serenità. Amorosa prudenza gli rinserrava nel fondo dell'animo l'affanno
che avrebbe vieppiù contristato i miseri
se glielo avessero letto sul volto.
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