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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Africa (18-4-1896). [Inizio Voce]che ho tracciato, e sopratutto quello politico, senza difficoltà lo si potrà raddoppiare nell'anno venturo, e triplicare in seguito. Sto facendo aprire strade verso la costa e nell'interno; sto ricostituendo villaggi abbandonati, per diradare la popolazione nei centri più grandi, e preparare le terre migliori pei nostri futuri immigranti; promuovo la coltivazione del cotone e, se ne avrò i mezzi, tenterò quella del caffè". Se i nostri socialisti fossero in buona fede e pensassero meno alla loro pancia che al bene del prossimo, dovrebbero ammirare gli sforzi di quegli oscuri governatori delle provincie eritree, veri apostoli della civiltà - e dovrebbero perciò essere i più ardenti africanisti.Il maggiore de Vito però amava il suo battaglione indigeno di amore intenso. Si può dire che quel battaglione fosse nato e cresciuto con lui. Il più bel giorno della sua vita fu quello in cui il generale Arimondi, in una rivista, gli lodò "il contegno, la tenuta corretta, l'abilità di manovra" della truppa. Con questo battaglione il maggiore de Vito combatté fra le gole di Adua. Egli comandava quel battaglione di milizia mobile che, verso le ore 7 della nefasta giornata 1. marzo 1896, il generale De Bormida inviava sul monte a sinitra di Chidane Meret, ove giunto con fatica, sostenne per ben quaranta minuti il combattimento contro l'esercito di ras Maconnen, soffrendo perdite tanto gravi, da dover poi retrocedere già per la china inseguito a breve distanza da frotte nemiche, contro le quali i due battaglioni inviati di rinforzo dal generale Da Bormida non poterono far fuoco per non colpire i nostri. Quella precipitosa discesa dei pochi avanzi del valoroso battaglione di milizia mobile, significava pur troppo che esso aveva perduto il suo comandante, il quale, alla testa del battaglione,
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