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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Teramo (21-11-1907) [Inizio Voce]nelle mediche discipline. Pertanto, un morbo crudele con ferocia terribile, ed in modo subdolo, insinuavasi nell'organismo della sua mente e quando questa era ammirata maggiormente por robustezza e perspicacia. Non un lustro, o Signori, è stato bastevole ad abbattere la robustezza della fibra del suo corpo; che venuto meno allo stimolo della ragione a bene operare, poteva dirsi già disceso nel regno dei morti viventi, ove è sempre caligine nera e profondo terrore di notte orribilmente oscura. Ma dite, dite, o miei signori: Havvi forse al mondo maggior sventura di quella che perder lo ben dell'intelletto?!... Ed in tanto strazio del nostro caro Estinto, che io a voi ho appena tratteggiato a pallide tinte, sento vivissimo il dovere di rilevare qui pubblicamente la mesta figura di una martire, la quale fu per troppo breve tempo sposa felice, e poscia per lunghi anni tutta sè stessa dedicò al caso miserando del suo Diletto, mostrandosi donna di animo grande. L'immenso affetto per l'amato compagno, in Lei aveva un crescendo continuo, così come il corso fatale del morbo; ed Ella, da vera donna cristiana, sapeva rassegnarsi ed affrontare coraggiosamente anche gl'impeti spaventevoli con i quali spesso si appalesava l'incessante lavorio distruttivo del male sulla sottile e delicata tessitura organica della mente di quel Misero. E quasi che, con la sua parola amica, volesse sollevare il velo che a Lui ottenebrava la ragione, Ella di continuo veniva escogitando mezzi nuovi, onde rendere men dura l'esistenza al suo diletto sventurato. Ora questa martire piange, piange, si strugge in amare lagrime; ed è inconsolabile nel vedersi attorno a sè il vuoto lasciato dalla dipartita del suo amato consorte. Sommo Dio, fia che giunga fino a Lei la nostra parola di conforto e fia che questo
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